Nella Domenica delle Palme, che apre la Settimana santa, detta «autentica» in rito ambrosiano, pubblichiamo la riflessione dell’Arcivescovo

 

«Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina». Queste parole del profeta Zaccaria, riportate da San Giovanni a commento dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme ci introducono, come una sorta di portico, alle celebrazioni della Settimana Autentica.

«Non temere»: le stesse parole rivolte dall’Angelo al vecchio Zaccaria e alla giovane Maria; le stesse dette da Gesù a Pietro, che, dopo la pesca miracolosa, si era riconosciuto peccatore davanti a Lui; le parole con cui Dio ha voluto sempre rassicurare il suo popolo. “Non avere paura, io sono con te”. Tu non sei solo, io sono tuo Padre e mi prendo cura del tuo destino.

«Non temere», sono parole che possiamo ripeterci oggi, ben consapevoli che quelli che ci attendono sono i giorni della passione e morte di Gesù.

«Il nostro re viene». Gesù entra nella sua passione da re, ma in Lui la regalità non si identifica col potere e la supremazia. Gesù è re perché sovranamente libero nell’accogliere la volontà del Padre, perché nessuno Gli toglie la vita, ma è Lui a consegnarla liberamente. Re perché ha piena potestà sul suo destino: non come uno che lo decide da sé, ma come Figlio che lo riceve dal Padre, anche se duro, anche se pieno di mistero e di umiliazione. La sua croce è la gloria.

Nel Rito Ambrosiano la settimana che si apre è detta Settimana Autentica perché illumina il significato del tempo della vita di ogni uomo e di tutta la famiglia umana. E, come dice il poeta Eliot, senza significato non c’è tempo.

Per vivere da cristiani questi santi giorni è necessario superare lo scandalo della Croce, riconoscendo che sono i giorni del dialogo più vero ed intenso tra il Padre e il Crocifisso, il dialogo di eterno amore assicurato dallo Spirito. Passione e croce, infatti, non sono un “affare” tra Gesù e i suoi nemici. Né possiamo limitarci ad ammettere che tra quei nemici ci siamo anche noi, con tutto il nostro male, con la nostra terribile dimenticanza, con l’incapacità ad assumerci le nostre responsabilità. Per avvicinarsi al mistero della passione e della croce è necessario, per quel poco che ci è possibile, mettersi dalla parte del Padre, cioè di quella “passione di carità”, come la chiamava Origene, che infiamma il cuore della Trinità. La Croce del Figlio ci introduce alla compassione del Padre, alla sua misericordia infinita per ogni uomo e ogni donna. La Croce del Figlio ci dice che il Padre non ci abbandona mai. E, anche se non riusciamo a scorgerne la presenza amante, l’ombra gettata dall’ignominioso palo della croce ci si offrirà sempre come caparra del perdono.

Nell’“impotenza” della Sua morte innocente si compiono i preziosi giorni della redenzione, i giorni della misericordia, i giorni della vita.