Continua la collaborazione del cardinale Angelo Scola, con il «Messaggero di sant’Antonio». Ogni mese si rivolge ai lettori della rivista parlando di vita buona, riallacciandosi all’omonimo libro-intervista con il giornalista Aldo Cazzullo.

La ragione che muove e stimola l’operosa e laboriosa opera dei politici è la volontà di questi ultimi di dedicarsi al bene dei cittadini. Questo è un evidente segno di amore che nobilita la politica, facendola diventare un’elevata forma di carità.
Lo ha detto il Papa incontrando le autorità locali in occasione del Familyfest 2012.

di Angelo Scola

È difficile oggi parlare di politica. L’aria che tira è piuttosto quella dell’antipolitica. Un’aria che rischia di trasformarsi in uragano distruttore, di cui le prime «vittime» sono i giovani. Nei confronti della politica non è difficile trovare in loro (purtroppo spesso con la complicità dei mass media) tutta la gamma degli atteggiamenti negativi: dall’indifferenza allo sguardo disincantato e cinico, fino alla rabbia sfascista. Eppure, dice Péguy, «I cristiani sono i più civici tra gli uomini». Hanno nel Dna la passione per la polis, per il bene comune. Ne abbiamo già fatto cenno: in Europa non c’è società civile più ricca di iniziative, di opere, di associazioni che quella italiana. E non è certo un caso, perché le radici del nostro popolo pescano profondamente nell’humus cristiano cattolico. Siamo figli di un Dio incarnato che si è fatto compagnia all’uomo in tutti gli aspetti della sua vita. È questo che spinge la Chiesa a rischiare la sua cura nei confronti di ogni fratello uomo.

Ovviamente nel pieno rispetto della distinzione dei compiti e delle funzioni rispetto allo Stato, come viene detto in modo inequivocabile al numero 28 della Deus caritas est: «La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato». Certo, fino alla metà del secolo scorso la nostra era ancora una società compatta e unitaria, permeata dei valori cristiani, anche se sottoscritti, in molti casi, più per convenzione che per convinzione. Oggi le cose sono cambiate: nella società odierna convivono etnie, religioni, culture e mondovisioni diverse. E non possiamo negare che sotto queste diversità, non di rado covano i conflitti… Ma allora ha ancora senso parlare di bene comune e di lavoro per costruirlo in una società così? Certo e con quanta maggiore urgenza e responsabilità!. E non lo dico solo per la nostra fede («Congregavit nos in unum Christi amor»), ma anche per la nostra storia, di figli della cultura occidentale. Già Aristotele, circa 2500 anni fa, parlava della società civile in termini di koinonia, cioè di comunione. La vera genesi di una società civile, diceva, è la filìa, l’amicizia civica. Anche nell’odierna società plurale tutti abbiamo in comune il bene pratico dell’essere insieme. Perché ogni uomo condivide con tutti gli altri l’esperienza quotidiana degli affetti, del lavoro, del riposo, del tentativo di costruire insieme una vita buona, attraverso delle pratiche virtuose. A partire da questo dobbiamo essere instancabili nel raccontarci per riconoscerci reciprocamente. Con pazienza, ma anche con determinazione, cercando di ascoltare le ragioni dell’altro, anche quando si manifestassero in modo puramente reattivo, andando a scoprire quel che sta dietro la reazione. Provando a evitare sia le paure che gli aperturismi a-critici.Platone diceva che un buon politico è un gran tessitore. Per questo, aggiungeva, occorre un ordito solido e una trama morbida. Mi sembra un’immagine ancora molto bella e attuale. Un ordito solido – cioè uomini convinti e senza paura (che non temono critiche); uomini radicati nella decisione di vivere la vita con un senso, cioè con una direzione e con un significato – e, una trama morbida, cioè con l’indomita capacità di andare continuamente incontro all’altro.

Nella sua recente visita a Milano in occasione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie Benedetto XVI, incontrando le autorità politiche e civili, ha detto: «A quanti vogliono collaborare al governo e all’amministrazione pubblica, sant’Ambrogio richiede che si facciano amare. Nell’opera De officiis egli afferma: “Quello che fa l’amore, non potrà mai farlo la paura. Niente è così utile come farsi amare” (II, 29). D’altra parte, la ragione che, a sua volta, muove e stimola la vostra operosa e laboriosa presenza nei vari ambiti della vita pubblica non può che essere la volontà di dedicarvi al bene dei cittadini, e quindi una chiara espressione e un evidente segno di amore. Così, la politica è profondamente nobilitata, diventando una elevata forma di carità».