Ecco il testo dell’omelia del giorno di Pasqua (domenica 4 aprile 2010) del Patriarca di Venezia:

1. «Io sono Cristo che ho distrutto la morte, che ho vinto il nemico, che ho messo sotto i piedi l’inferno, che ho imbrigliato il forte e ho elevato l’uomo alle sublimità del cielo». Così un’antica Omelia sulla Pasqua. In due splendidi mosaici – l’uno qui nella nostra basilica e l’altro in quella ancora più antica di Torcello – noi possiamo contemplare la potente scena dell’Anastasis (Risurrezione). Il Risorto, con braccio vigoroso, libera Adamo e in lui tutti gli uomini, dalle catene della morte schiacciando sotto i piedi il diavolo che tenta invano di trattenere la sua vittima. Essa, però, gli sguscia via dalle mani per entrare nei cieli nuovi e nella terra nuova. Cristo è l’innegabile protagonista della scena.

La Pasqua è la festa della centralità di Cristo nella vita dell’uomo.

È Lui il centro del cosmo e della storia, la chiave di lettura di tutti gli avvenimenti della esistenza di ciascuno di noi come di quella di tutta la famiglia umana e del mondo intero.

2. «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto» (Lc 24, 5-6). Il Nuovo Testamento non descrive direttamente il momento della Risurrezione, l’evento centrale della storia. Lo fa attraverso precisi segni e le apparizioni. Antitutto riporta l’annuncio fatto dall’Angelo alle donne che cercavano Cristo nel sepolcro. Un annuncio talmente inaudito da risultare, in un primo tempo, incredibile: «Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse» (Lc 24, 11). Infatti ciò che accomuna le versioni del racconto della resurrezione fatto dai quattro evangelisti è, in prima battuta, lo sconcerto, la totale sorpresa con cui i discepoli, donne e uomini, hanno vissuto l’evento: «Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra … Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l’accaduto» (Lc 24, 5 e 12). I Vangeli riportano con obiettività queste prime reazioni dei suoi nel riconoscere il fatto della risurrezione. Proprio per questo sono più attendibili e rendono più ragionevole la fede spesso distratta di noi uomini post-moderni.

Maria di Magdala è la prima – secondo il racconto di Giovanni – a constatare che il sepolcro è vuoto, ma pensa che qualcuno abbia portato via e nascosto il corpo di Gesù. Pietro entra nel sepolcro, vede i teli per terra, il sudario piegato a parte e rimane stupito. L’altro discepolo, quello che Gesù amava, dopo essere entrato con Pietro «vide e credette» (Gv 20, 9). Per “vedere” il fatto in tutta la sua portata occorre che il cuore sia aperto ad accogliere l’intero disegno di Dio.

Il Risorto sarebbe potuto tornare per le strade, sotto i portici del Tempio, farsi riconoscere alle folle che lo avevano visto appeso alla croce. Ha scelto invece un altro metodo per attestarsi come l’eterno Vivente. «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti… » (At 34, 41). Gesù non si manifestò al mondo, ma ai discepoli, per guarire anzitutto loro dall’incredulità che li accecava, li impauriva, li paralizzava.

La scelta del Risorto di passare attraverso i testimoni per raggiungere l’umanità intera insegna a noi tutti che Lo seguiamo lungo la storia che la Pasqua domanda la nostra personale e libera adesione. Essa poggia su puntuali dati storici rilevati dai testimoni diretti. Solo perché Lo hanno incontrato e “visto di nuovo” Risorto sono passati dal terrore che li teneva rinchiusi ad annunciarlo sulla pubblica piazza fino a dare la loro vita.

3. La fede in Cristo morto e risorto è anzitutto un dono, il dono più prezioso [«Questa cara gioia sopra la quale ogne virtù si fonda», come dice il genio poetico di Dante (Dante, Paradiso XXIV,89-90)] che non possiamo produrre da noi, come non possiamo darci la vita. Possiamo solo riceverla. Per questo al cuore della Veglia pasquale, la Chiesa colloca la liturgia battesimale. «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? … Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui» (Rm 6, 3.8-9).

Nella solenne Veglia pasquale ricevono il Battesimo un bimbo, Giulio-Francesco, veneziano, e con lui tre catecumeni adulti il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia. Sono un segno straordinario che la Chiesa sempre rinasce nelle persone per la potenza dello Spirito del Risorto. I catecumeni sono Izumi (“sorgente”), giapponese, che prenderà il nome di Teresa; Claire Elaine, londinese, e Leonardo, italiano. Inoltre il marito di Izumi, Roberto, veneziano, riceverà la Santa Confermazione. In altre parrocchie del Patriarcato questa notte altri bimbi ed adulti entreranno a far parte della Chiesa santa di Dio. Questi nuovi cristiani, per la loro diversa origine, sono un’espressione concreta della universalità della Chiesa veneziana. Essi ci suggeriscono la strada per affrontare, anche nelle nostre terre, il processo di mescolamento di popoli ormai irreversibile.

Imitare nel Battesimo la morte e risurrezione di Gesù indica quel cambiamento di vita che è dono del Risorto ed anticipo della nostra personale risurrezione. Il dono della fede è per tutti gli uomini. Ad essi tocca però accogliere, custodire ed amare questo dono prezioso. Grazia e libertà. Gioia per il dono più grande e domanda di realizzarlo nella vita, perché si compiano le esigenze più profonde del nostro cuore e il fratello uomo, anche quello della nostra sofisticata post-modernità, possa incontrare Colui che aspetta.

4. «Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità» (1Cor 5, 7-8). La resurrezione del Signore è, quindi, primizia e caparra della nostra. Quel che saremo, infatti, non è stato ancora pienamente manifestato, ma Gesù risorto ci apre ad una speranza certa ed affidabile. «… Questa realtà presente costituisce per noi una «prova» delle cose che ancora non si vedono. Essa attira dentro il presente il futuro, così che quest’ultimo non è più il puro «non ancora». Il fatto che questo futuro esista, cambia il presente; il presente viene toccato dalla realtà futura e così le cose future si riversano in quelle presenti e le presenti in quelle future” (Benedetto XVI, Spe salvi, 7).

5. Il segno che il nostro presente, come quello dei primi che Lo incontrarono risorto, è toccato dalla realtà futura si chiama testimonianza: «Dio ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome» (At 10, 42-43). Nessuno riesce a tenere per sé un dono così potente che, come ci mostrano la Vergine, gli Apostoli e i Santi trabocca gratuitamente da ogni fibra del cristiano. Essere testimoni tuttavia non significa solo né anzitutto dare buon esempio, quanto piuttosto conoscere e comunicare nella vita la notizia vera della Risurrezione.

6. Ai nostri giorni la testimonianza (martyrion) di un numero sempre più grande di cristiani (in Iraq, in India e in altri Paesi dell’Oriente, in Africa…) giunge fino al martirio del sangue. Afferma in proposito Tertulliano: «Noi ci moltiplichiamo ogni volta che siamo mietuti da voi: il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani [Plures efficimur quoties metimur a vobis: sanguis martyrum semen christianorum]» (Apol., 50,13: CCL 1,171). La Pasqua approfondisca il vincolo di comunione con questi nostri fratelli e ci renda loro umili discepoli. La grazia del Risorto ci impedisca di dimenticarli. Ci spinga piuttosto ad affermare di fronte a tutti la forza del loro inerme martirio e a denunciarne pubblicamente l’inaccettabile sopruso.

Anche nelle società euroatlantiche, che si vogliono plurali, è diventato urgente per i fedeli cristiani autoesporsi con umiltà per comunicare che l’incontro con il Signore “passo”, morto, risorto, apparso ed asceso al cielo è il senso pieno della vita. La Chiesa, nostra madre amorevole, ci aiuta a perseguirlo quotidianamente.

Inevitabilmente da una fede autenticamente praticata discende anche il benefico apporto dei cittadini cristiani alla vita comune. Proporre, non imporre, con umile franchezza relazioni buone a tutti i livelli, documentare nel quotidiano pratiche virtuose nell’ambito degli affetti, del lavoro e del riposo non è solo il contributo che, nel rispetto delle procedure pattuite, il cristiano può dare alla vita democratica. È anzitutto un’esigenza intrinsecamente connessa alla fede nel Risorto.

Rinati in questa Pasqua percorriamo pertanto lieti le strade del mondo seguendo l’amato Salvatore di tutta la famiglia umana.

Il cristiano, lo voglia o no, è destinato, costi quel che costi, in ogni circostanza e in ogni rapporto, secondo i modi ed i tempi stabiliti dallo Spirito, a dare testimonianza del carattere universale, cioè valido per tutti i fratelli uomini, dell’annuncio pasquale: «Surrexit Christus spes mea». A cosa uomini e donne di oggi più anelano se non una simile speranza affidabile? Buona Pasqua! Bonne fête de Pâques! Happy Easter! ¡Feliz Pascua de Resurrección! Frohe Ostern!