Terzo appuntamento con il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, che ogni sabato propone una riflessione in vista del prossimo Incontro mondiale delle famiglie. Ha iniziato mettendo in rilievo la centralità della famiglia, soggetto sociale per eccellenza. Lo scorso sabato si è soffermato sulla necessità di non lasciarla sola nella formazione degli adulti di domani. Questo sabato (7 aprile), invece, ragiona sulle povertà che colpiscono le famiglie: non solo di tipo economico, ma anche di relazioni. Tra marito e moglie e con i figli, i primi – purtroppo – a pagare il conto di genitori in disaccordo, che si separano o arrivano al divorzio. Con garbo e realismo, senza giudicare, Scola tocca un punto fonte di sofferenza per molti.

– Pubblichiamo il testo dell’Arcivescovo, apparso sulle colonne del quotidiano Il Sole 24Ore sabato 7 aprile 2012 –

Sono sempre più numerose le famiglie che stanno conoscendo la povertà. A pagare il conto più salato della crisi sono oggi – e in maniera crescente – soprattutto le coppie con più di due figli. Conferma di come mettere al mondo dei figli rappresenti un rischio in termini di tenuta dei conti economici familiari.
Ma accanto a questa tradizionale categoria di povertà, ve n’è una relativamente nuova, quella delle famiglie con un solo genitore originate da separazioni e divorzi. Gli esperti dicono che tra queste famiglie l’incidenza della povertà assoluta è cresciuta in modo preoccupante, passando dal 4% al 7% nell’arco di appena quattro anni.
Nessun’altra tipologia familiare ha visto crescere in tale proporzione la condizione di bisogno. Inoltre, siamo di fronte ad una povertà a più facce: non è solo una povertà di mezzi economici, ma anche di relazioni, di salute, di abitazione, di risorse educative e lavorative.

Certo, nessuna famiglia è immune dal rischio di “ammalarsi”: in ogni relazione familiare, infatti, la fiducia e la giustizia convivono con il loro opposto. In una società come la nostra, spesso confusa sui “fondamentali”, i rapporti, soprattutto quelli primari, presentano una certa quota di mancanza di fiducia, di ingiustizia e di prevaricazione.
Tuttavia un approccio attento alla totalità dei fattori in gioco conferma che i costi più pesanti sono pagati dalle due categorie appena segnalate: famiglie numerose e famiglie monogenitoriali. Sono quelle di gran lunga più segnate da una povertà molto più ampia rispetto a quella puramente economica. Sempre gli esperti dicono, infatti, come il 17% delle prime e il 15% delle seconde siano povere secondo più accezioni.
In particolare, nelle famiglie segnate da una separazione o da un divorzio, il costo è maggiormente pagato dai figli. La separazione, evento affettivamente assai doloroso stravolge l’ordine familiare. Per i figli poi è traumatico perché comporta una significativa sofferenza e una necessità di cambiamento a livello affettivo ed organizzativo. Nonostante l’enfasi recentemente posta sulla capacità dei figli, non solo di resistere e di far fronte ad eventi traumatici, ma addirittura di uscirne rafforzati, è di fatto impossibile censurare il tema della sofferenza di chi sperimenta la separazione dei genitori.

In situazioni come queste, di crisi e di frattura, quali strade possono essere percorse per cercare di “portare in salvo i legami familiari”? Sono certamente gli adulti ad essere chiamati ad assumere una responsabilità decisiva nei confronti delle generazioni dei figli. La separazione, che è sempre una sconfitta, in alcuni casi può essere vista come l’estrema ratio dell’amore. Essa infatti continua a riconoscere al vincolo matrimoniale tutto il suo peso e lo rispetta fino in fondo, accettando con dolore l’impraticabilità della convivenza tra i coniugi, senza mai escludere la possibilità della riconciliazione. I figli, in questo caso, sono aiutati a comprendere che la fatica e la debolezza del papà e della mamma non sono più forti della loro unione da cui essi hanno ricevuto la vita. Più arduo tutto questo nel caso del divorzio che nega, di fatto, la capacità degli sposi di restare uniti per sempre, perseguendo, al contrario, una opzione esistenziale di annullamento dei legami.

Non è certo per un giudizio sulle singole persone che diciamo tutto questo; il Figlio di Dio non è venuto per condannare, ma per salvare. E la sua Chiesa vuole soltanto difendere e promuovere il bell’amore. Per il cristiano tutta la vita è vocazione. Ogni relazione e ogni circostanza vissuti nella verità sono parte del disegno di Dio su di noi. Sono strada del rapporto con Lui. Anche dentro l’ingiustizia, che tu senti come incomprensibile ed inaccettabile, dovuta all’infedeltà del marito o della moglie, Gesù ti rinnova l’offerta come fece a Pietro: «Mi ami tu?». Ti chiede di continuare l’esperienza dell’amore. Ti offre un solido appoggio perché, se anche il rapporto finisce, il matrimonio non finisca. Il matrimonio, infatti, non è riducibile al rapporto con il marito o con la moglie.
Spesso ci sono i figli e in esso è sempre presente l’iniziativa di Dio cui gli sposi hanno liberamente e pubblicamente aderito. Certo l’infedeltà del marito o della moglie fa diventare assai dolorosa la fedeltà di chi resta, ma da un certo punto di vista non la tocca, anzi la rende ancora più necessaria e ne rafforza la libertà.
E per chi non crede in Gesù Cristo? L’invito è di considerare attentamente come l’esperienza umana dell’amore in quanto tale domandi il “per sempre”. Lo diceva Shakespeare: «L’amore non è amore se viene meno quando l’altro si allontana».