II DOMENICA TEMPO ORDINARIO: Is 62, 1-5; Sal 95; 1Cor 12,4-11; Gv 2, 1-11

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1. «Sì, come un giovane sposa una vergine,… come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62,5). Per descrivere la passione di Dio per il suo popolo il profeta non ha paura di usare il linguaggio dell’amore umano. Così, in modo del tutto provvidenziale, la liturgia di oggi si rivolge, carissimi, direttamente a voi, sposi, genitori e nonni cristiani. E dice il valore del bell’amore che, per il sacramento del matrimonio, vi costituisce in famiglie. Questo amore, come ci ha insegnato la Deus caritas est, esprime l’inscindibile unità di eros e di agape. Infatti manifesta il bisogno di ogni uomo e di ogni donna di essere amato (eros), che però può trovare compimento soltanto nel dono totale e gratuito di sé per il bene dell’altro in quanto altro (agape).

La Prima Lettura lo documenta chiaramente. Ciro, nel 538 a.C., aveva emanato un editto che autorizzava il ritorno dall’esilio del popolo ebraico e la ricostruzione della città di Gerusalemme, simbolo della restaurazione di Israele. Proprio nei versetti che sono stati poco fa proclamati, il profeta annuncia l’iniziativa di Dio, che aveva abbandonato il suo popolo come un marito ingannato, di ricongiungersi ad esso: «Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata» (Is 62,4). Vediamo pertanto che l’infedeltà, sanata dal perdono, rende compiuto l’amore. E, in modo del tutto particolare, nel perdono brilla l’unità di eros e di agape: l’amore è compiuto in chi unisce al bisogno di essere definitivamente amato il desiderio di amare l’altro definitivamente. L’amore diventa oggettivo, perciò effettivo. Per questo Benedetto XVI può affermare con parole profonde: «L’eros di Dio per l‘uomo… è insieme totalmente agape. Non soltanto perché viene donato del tutto gratuitamente, senza alcun merito precedente, ma anche perché è amore che perdona… Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia. Il cristiano vede, in questo, già profilarsi velatamente il mistero della Croce: Dio ama tanto l’uomo che, facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore» (Deus caritas est, 10). Questo amore misericordioso che domanda indissolubilità, fedeltà, apertura alla vita, è quello che gli sposi riconoscono indispensabile. Coscienti della loro fragilità, essi lo mendicheranno sempre di nuovo da Colui che è venuto per insegnarci l’Amore.

Brilla in tal modo il significato pieno dell’odierna festa diocesana, che celebra quest’anno la sua trentesima ricorrenza. Il Patriarca vi ringrazia, carissimi, per la bella testimonianza e ringrazia quanti da anni la accompagnano con solerte e commossa intelligenza.

2. Nel racconto delle nozze di Cana a ben vedere è Gesù, non gli sposi, ad essere al centro. Così deve essere in ogni matrimonio ed in ogni famiglia cristiana. Mettere Cristo al centro – questo è il senso della bella tradizione di consegnare personalmente la Bibbia agli sposi come fra poco faremo prima di rinnovare le promesse sponsali per compiere poi la professione di fede –, mettere Gesù al centro della vita quotidiana lì dove si svolge – in casa, sul lavoro, nel quartiere, in parrocchia – è sicura garanzia per educarci ad amare. Infatti l’amore che Cristo ci insegna è condivisione concreta del bisogno/desiderio dell’altro, a cominciare da chi ci è prossimo per giungere ad ogni nostro fratello uomo. L’eredità di amore che Cristo ci dona è un talento da trafficare. Lo vediamo bene dal comportamento di Maria a Cana. «Non hanno vino» (Gv 2,3): è premurosa e sollecita fin nel particolare perché ama. Ed insiste. «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5). La Madre di Gesù, nel primo gesto della Sua vita pubblica, guida i servitori nell’obbedienza a Lui. Si affida a Lui e conduce ad affidarsi a Lui. E qui, ancora una volta sorprendentemente, il Vangelo di oggi introduce di colpo il tema che avete posto al cuore di questa trentesima Festa della famiglia: “La gioia e la fatica di essere educatori”.

3. Avete così voluto raccogliere la sfida educativa che Benedetto XVI, nella celebre Lettera alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione (21 gennaio 2008) ha definito come emergenza. Il Comitato per il Progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana ne ha fatto il contenuto del Rapporto-Proposta, pubblicato lo scorso settembre, che affido in modo particolare alla Commissione diocesana perché ne faccia oggetto, con voi, in tutte le parrocchie ed aggregazioni, di capillare approfondimento.

Due sono i criteri che la lunga esperienza ecclesiale e la grande tradizione cristiana delle nostre terre ci indicano come decisivi per l’educazione. Il primo è il far fare esperienza dei valori. Non basta – e questo oggi è sotto gli occhi di tutti – richiamare i valori, occorre far fare esperienza concreta di essi. Ed in proposito il compito dei genitori, dei nonni, dei fratelli e delle sorelle è insostituibile. Esso si traduce poi nel secondo criterio: “educa non chi dice “fai così” ma chi dice “fai, con me, così”. Carissimi, non è forse questa la forza di quella testimonianza intesa come metodo di conoscenza e di comunicazione su cui stiamo basando il nostro cammino ecclesiale?

In concreto ciò significa che ogni madre è chiamata a testimoniare al figlio un amore gratuito ed incondizionato. Per questo il suo compito è prendersene cura fino in fondo, ma per amarlo non deve legare il figlio a sé, lo deve condurre all’obbedienza al padre. La madre deve saper fare questo dono a entrambi. Ed il padre non può sottrarsi al dovere di esercitare una amorosa autorità. In questo modo la famiglia, al di là di comprensibili fragilità ed errori, attua la sua insostituibile missione di essere Chiesa domestica e cellula vitale di una società dalla vita buona.

Permettetemi a questo punto di sottolineare con forza, all’interno della necessaria alleanza educativa con tutti gli altri attori dell’azione educativa, l’impegno che, con la guida della Commissione, oggi assumete nei confronti della comunità ecclesiale. Mi riferisco al vostro necessario coinvolgimento nel compito della cosiddetta iniziazione cristiana. Per introdurre ed accompagnare all’incontro personale con Gesù Cristo nella comunità cristiana i figli è indispensabile l’impegno diretto dei genitori, dei nonni, dei fratelli e delle sorelle maggiori. Con i sacerdoti, le consacrate, gli altri responsabili, i familiari debbono costruire una vera e propria comunità educante che accompagni ogni fanciullo, ragazzo, adolescente, giovane nel decisivo affronto di tutta la realtà: dalla famiglia, alla parrocchia, alla scuola. «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1Ts 5,21): questo è il metodo educativo che dobbiamo proporre ai nostri figli. «…tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3, 22). Allora, per fermarmi a talune urgenze odierne prese come esempio: come aiutare i nostri ragazzi a vivere la tragedia di Haiti? come raccogliere nelle nostre terre con amore cristiano, aperto ed equilibrato, i minori migranti? perché l’odierna giornata del dialogo tra cristiani ed ebrei? perché questa settimana preghiamo per l’unità dei cristiani? Voi, le famiglie, partecipando alla rivitalizzazione dei patronati e delle forme associative vedrete il frutto del vostro amore: l’educazione di cristiani maturi e di cittadini consapevoli.

4. A proposito dei diversi carismi, ministeri e attività che Paolo puntigliosamente dettaglia – come ci ha ricordato la Seconda Lettura – e che arricchiscono la Chiesa, l’Apostolo ricorda soprattutto: «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12,7). I doni, i compiti, le iniziative sono svariati e personali ma sono in funzione del bene comune e non devono perciò essere motivo di divisione o di gelosia, ma di concorde e generosa collaborazione all’edificazione dell’unico Corpo della Chiesa. Ogni diversità non è nemica dell’unità, ma sua preziosa risorsa. Di questa unità, espressione della potente e sovrabbondante opera dello Spirito di Gesù risorto tra noi, ha più che mai bisogno l’educazione.

La Vergine Nicopeia, propiziatrice di vittoria, accompagni le famiglie del Patriarcato ad affrontare con coraggio l’inevitabile ed affascinante rischio educativo. Amen