Con un testo, tratto dal recente Discorso alla città pronunciato da Scola, anticipiamo i temi del convegno in occasione del 60° anniversario dell’elezione di Montini ad Arcivescovo, che si terrà dal 15 al 17 gennaio a Gazzada e che si concluderà con un incontro in Curia.

 

Appena due mesi fa la nostra Chiesa ambrosiana, insieme alla Chiesa universale, ha ricevuto il dono della beatificazione di Giovanni Battista Montini, nostro Arcivescovo divenuto papa Paolo VI. Un dono particolarmente prezioso in questo momento per la luce che getta sulla situazione contemporanea e sul compito dei cristiani in vista dell’edificazione di vita buona in una società plurale. La figura e l’insegnamento di Paolo VI, infatti, mostrano ogni giorno di più la loro attualità e pregnanza.

Fin dalla giovinezza e poi con sempre maggior evidenza durante gli anni del suo ministero ambrosiano, il beato Montini non solo insistette con decisione sulla necessità di riconoscere l’origine dell’umanesimo in Gesù Cristo, ma ne indicò anche il metodo adeguato. Nel discorso del 6 gennaio 1955 al suo ingresso a Milano disse: «Il problema che a noi, in questa stessa circostanza, quasi programma, si pone è questo: abbiamo bisogno d’un cristianesimo vero, adeguato al tempo moderno. Problema che possiamo anche meglio formulare così: come possiamo noi adeguare la nostra vita moderna, con tutte le sue esigenze, purché sane e legittime, con un cristianesimo autentico?». La domanda ha come interlocutore privilegiato Milano: «Questo problema si pone in modo speciale, e sotto certi aspetti, unico, proprio alla nostra Milano; poiché a Milano, più che altrove in Italia, e forse più che altrove nel mondo, concorrono in alto grado i due dati del problema stesso: la ricchezza stupenda e secolare d’una tradizione religiosa – e voglio dire: di fede, di santità, di arte, di storia, di letteratura, di carità -, con una ricchezza meravigliosa e modernissima di vita – e voglio dire di lavoro, d’industria, di commercio, di arte, di sport, di politica».

Veniva così identificata una specifica vocazione del cattolicesimo ambrosiano la cui cura il nuovo Arcivescovo considerava prioritaria. Se oggi la situazione è assai diversa, non è però venuta meno questa sensibilità all’uomo concreto e al suo contesto storico.

L’8 dicembre 1957, nell’omelia del Pontificale in Duomo, l’arcivescovo Montini si chiede: «Chi è l’uomo?». Rispondere a questa domanda con lo sguardo fisso in Gesù Cristo, fu uno dei contenuti essenziali della predicazione e del ministero pastorale del nuovo Beato. È nota la sua insistenza sulla necessità di recuperare il senso religioso perché l’uomo contemporaneo possa «pensare Dio». L’Arcivescovo è infatti convinto del fatto che «l’uomo moderno, se vuol essere coerente con la sua stessa razionalità, dovrà ritornare religioso».

Siamo al cuore dell’insegnamento conciliare che Paolo VI, al termine del Vaticano II, sintetizzò così: «Il nostro umanesimo si fa cristianesimo, e il nostro cristianesimo si fa teocentrico […]: per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo».

Una preoccupazione che ha origini lontane. Basti un esempio: il 10 giugno 1923 un giovanissimo don Montini invitava il fratello Lodovico a «cercare l’uomo per cercare Dio».

«Populorum progressio» arriverà a delineare un «umanesimo plenario», vero in quanto «aperto verso l’Assoluto». E Dio, scriveva monsignor Montini nel 1930, si riflette in Cristo, Figlio dell’uomo: «Così Dio pensa, parla, agisce, nell’ambito umano. […] Dio agli uomini, gli uomini a Dio».

L’umanesimo trascendente cui Montini fa riferimento assume le caratteristiche di un «umanesimo nuovo», cioè «l’umanesimo di Cristo». «E Cristo, venendo – aggiunge l’Arcivescovo – si sedette commensale alla nostra mensa, si fece compagno di viaggio, si fece socio, si fece amico, si fece collega, si fece uno di noi, cum hominibus conversatus est, si confuse anche Lui in mezzo alla folla degli uomini. Fu uno di noi, uno di noi». Cristo, infatti conosce l’uomo, «ha il senso del bisogno degli uomini». (…)

Alla luce di questo magistero è possibile affermare che la proposta di un nuovo umanesimo non è altro che la capacità insita nella fede cristiana di generare cultura, cioè, di proporre agli uomini e alle donne di ogni tempo, partendo dal loro peculiare contesto storico, sociale e culturale un senso per vivere il quotidiano.