Sono ora disponibili il video e il testo dell’omelia pronunciata dal Patriarca Martedì 29 Settembre in occasione della festa di san Michele Arcangelo al Duomo di Mestre.

Dan 7, 9-10.13-14; Sal 137; Apc 12, 7-12; Gv 1, 47-51

1. Gli Angeli «in cielo stanno davanti a Te per servirti e contemplano la gloria del Tuo volto» (Orazione di Colletta).

Il Catechismo della Chiesa cattolica commenta, in un certo senso, questa affermazione al N. 350: «Gli angeli sono creature spirituali che incessantemente glorificano Dio e servono i Suoi disegni salvifici nei confronti delle altre creature: «Ad omnia bona nostra cooperantur angeli [gli angeli cooperano ad ogni nostro bene]» (S. Tommaso D’Aquino, Summa theologiae, I, 114, 3 ad 3: Ed. Leon. 5,535).

Michele [Chi come Dio?] da una parte come tutti gli angeli, dall’altra con la sua missione specifica di lottare contro il male rivela la volontà di Dio. In particolare la Sua volontà di salvezza nei nostri confronti.

Siamo qui convenuti con le autorità religiose, civili e militari per approfondire un poco, attraverso un ascolto autentico, questa volontà di Dio su di noi, sulla comunità cristiana e sulla società civile di cui siamo parte, in un parola sulla nostra amata Mestre. Fare la volontà di Dio ci preme se siamo qui questa sera. E che ci prema si vede anche dalla grande vitalità e dal nutrito e vario insieme di iniziative con cui, anche quest’anno, si celebra San Michele.

2. «Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago» (Ap 12,7).

Il combattimento non ci viene mai del tutto evitato. Come ci ricordano il Santo Evangelo e San Paolo c’è una insopprimibile dimensione di lotta nella nostra esistenza. Nel rapporto con noi stessi, con gli altri, con Dio. Basti pensare alle ferite del nostro peccato. Oggi tendiamo a rimuoverlo in nome di un superficiale ed equivoco desiderio di stare in pace. Il mestiere di vivere, si dice, è già di per sé così pesante. Basta a se stesso: già paghiamo a sufficienza per dover dare ulteriore peso e confessare le nostre fragilità ed il nostro peccato. Ma l’oblìo della lotta per la verità svuota l’esistenza del suo concreto significato e la ammorba. Non riusciamo a goderla fino in fondo. E quando questa perdita di significato ovatta il quotidiano, la quiete svanisce. Allora la lotta, avendo perso di contenuti reali, degenera in puro conflitto, scontro di potere contro potere. A livello personale (emozioni contro ragioni), ecclesiale (gruppi contro gruppi), società civile (partiti contro partiti). In noi e fuori di noi non ci sono più solo degni avversari con cui confrontarsi perché prevalga il migliore ma solo nemici da abbattere. Preghiamo San Michele perché questa caduta che purtroppo non è solo teorica, sia il più possibile evitata in noi stessi, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, nella nostra società.

3. «Io continuavo a guardare, quand’ecco furono collocati troni e un vegliardo si assise. La sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo erano candidi come la lana; il suo trono era come vampe di fuoco con le ruote come fuoco ardente. Un fiume di fuoco scorreva e usciva dinanzi a lui, mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano» (Dn 7, 9-10).

Contempliamo con gli occhi pieni di stupore del profeta Daniele questa scena tanto misteriosa quanto grandiosa. Resta pur sempre un balbettìo che tenta di esprimere qualcosa della maestà, grandezza, onnipotenza di Dio.

Il fiume di fuoco è il simbolo della irruente forza di Dio che è amore, ma dopo la Pasqua di Cristo noi sappiamo bene che si tratta di un amore-persona, del nostro amato Gesù, il Figlio dell’uomo: «Ecco venire con le nubi del cielo, uno simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno» (Dn 7, 13-14). A questi versetti di Daniele fa eco il Vangelo di Giovanni: «Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell`uomo» (Gv 1,51).

Scrive Sant’Ireneo: «Il Verbo si è fatto dispensatore della gloria del Padre ad utilità degli uomini… Gloria di Dio è l’uomo che vive – vivens homo – e la sua vita consiste nella visione di Dio» (Ireneo, Adv. Haer. IV, 20,5.7). La gloria di Dio si manifesta nella salvezza dell’uomo. È dunque l’amore la ragione ultima dell’incarnazione di Cristo. Scrive Balthasar: Dio «non è, in primo luogo, potenza assoluta, ma amore assoluto la cui sovranità non si manifesta nel tenere per sé ciò che gli appartiene, ma nel suo abbandono» (H. U. von Balthasar, Mysterium paschale I, 4). È la massima esaltazione dell’umana libertà che si compie nel vincolo, che mai è privo di lotta – perciò di sacrificio – dell’amore.

4. Carissimi, il potente Arcangelo è al nostro fianco in questa opera di ascesi personale, di edificazione ecclesiale e di costruzione di vita buona nella società civile. È questo l’ottavo anno che il Patriarca ha la provvidenziale e commovente occasione di celebrare con voi il grande Patrono. Ascoltando, soprattutto in occasione della Visita Pastorale, l’Arciprete, i sacerdoti, i religiosi, le religiose ed i fedeli cristiani che operano su questo privilegiato territorio della metropoli Venezia, mi sembra di poter fare mia quest’anno la loro positiva percezione di non pochi segni di speranza. Mestre è andata in questi anni sempre più assumendo il suo decisivo ruolo nel processo di trasformazione della nostra città di terra e di mare, del Veneto e di tutto il Nord Est. Più volte i miei predecessori ed io stesso l’avevamo auspicato. E con noi le autorità civili, così come i vitali corpi intermedi assai attivi nella realtà ecclesiale e civile. In particolare la Mestre crocevia della città-arcipelago sta trovando non solo e non anzitutto in certi imponenti realizzazioni infrastrutturali una sua significativa evidenza. Mi riferisco piuttosto alla crescita antropologica della città. Ad esempio alla sua capacità di rapporto con i tanti fratelli di diverse etnie, culture e religioni che la abitano. Lo dico senza falsi irenismi, ben cosciente delle contraddizioni proprie del difficile cammino cui il meticciato di civiltà ci sta chiamando. Si stanno gettando ponti, si comincia a conoscersi a partire dai quartieri, dalle scuole, dalle parrocchie, dai luoghi di lavoro. E la conoscenza fa nascere amicizia e fa cadere la paura non ultimo perché favorisce la crescita di quella legalità che è inviolabile garanzia di sicurezza. Ma la crescita di Mestre è crescita in nuovo umanesimo, in cultura che nasce dalla vita.

Alcuni difficili nodi da sciogliere certo permangono per tutti i veneziani, anche per i mestrini. Che futuro stiamo dando a Marghera industriale? Come ci stiamo prendendo cura, tutti insieme, della città lagunare? Con quale magnanimità stiamo facendo spazio ai territori umani di tutte le realtà dell’arcipelago che non possono più essere trattate come periferie? In particolare in questo tempo di crisi, di perdita di lavoro, di intensificazione del precariato, di smarrimento dello straniero che è tra noi, stiamo creativamente facendo tutto il possibile per vivere quella solidarietà che non rende vuoto il nostro parlare di umana dignità?

Questi ed altri, ovviamente più legati al concreto sviluppo della nostra realtà, saranno i contenuti propri del confronto politico che ci attende quest’anno con il duplice impegno elettorale. Mi pare di percepire che, come forse non è sconveniente per una polis vivace come la nostra, siamo già in clima elettorale. Allora permetterete al Patriarca di proporre (sottolineo proporre), ancora una volta e solo per titoli, a tutte le forze in campo taluni contenuti propri della vita buona della società civile che la Chiesa, attraverso il suo magistero ma anche attraverso l’azione capillare e quotidiana di molti fedeli, in particolare dei sacerdoti, giudica irrinunciabili. Educare le nuove generazioni all’amore oggettivo ed effettivo, al senso autentico del matrimonio tra l’uomo e la donna e della famiglia, al gusto del lavoro equilibrato, a favorire la stima ed il rispetto per la vita dal concepimento al suo termine naturale, al divertimento che rigenera e non dissipa. Praticare la giustizia non disgiunta dalla carità, come ci ha ricordato Benedetto XVI con la sua recente Enciclica Caritas in Veritate. Amare con autentica preferenza i poveri ed i bisognosi. Essere uomini di pace realistica e non utopica. In una parola chiediamo alla politica ed ai politici che le scelte per l’amministrazione della città e della regione tengano conto di questi obiettivi valori della vita buona ovviamente incarnata nella nostra realtà veneziana e veneta stante la natura amministrativa della doppia elezione che ci attende.

Quando il contenuto della politica non poggia sul valore pratico del vivere insieme scelto come bene comune, allora il potere contro il potere occupa pericolosamente la scena. E a patirne è il popolo che invece, non dimentichiamolo, in democrazia dovrebbe essere sovrano.

La Chiesa di Venezia per parte sua assicura sin da ora che lascerà ai fedeli laici il compito di entrare nell’agone specifico dell’alta forma di carità che è la politica. Lo ha richiamato lo scorso 17 settembre il Santo Padre parlando ai Vescovi brasiliani del Nordeste: «È nella diversità fondamentale fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune che si comprende l’identità specifica dei fedeli ordinati e laici. Per questo è necessario evitare la secolarizzazione dei sacerdoti e la clericalizzazione dei laici. In tale prospettiva, i fedeli laici devono quindi impegnarsi a esprimere nella realtà, anche attraverso l’impegno politico, la visione antropologica cristiana e la dottrina sociale della Chiesa. Diversamente, i sacerdoti devono restare lontani da un coinvolgimento personale nella politica, al fine di favorire l’unità e la comunione di tutti i fedeli e poter così essere un punto di riferimento per tutti».

Per questo toccherà al Patriarca, ai suoi più diretti collaboratori del Consiglio Episcopale e del Consiglio di Curia, ai sacerdoti, ai diaconi, ai consacrati, a tutti quei fedeli che rivestono responsabilità ecclesiali pubbliche e in generale degli organismi ecclesiali restare fuori da ogni impegno elettorale e non coinvolgersi direttamente con qualsivoglia partito o schieramento politico. La Chiesa non deve prendere «nelle sue mani la battaglia politica» (Deus caritas est, 28). Se sarà il caso il Consiglio di Curia potrà dettagliare le implicazioni pratiche di questa scelta, ma già fin da ora è chiaro che nessuno di quanti si trovano ad occupare i ruoli descritti avrà alcun titolo per intervenire in nome della Chiesa veneziana in questioni politico-partitiche.

5. In questo vespero solenne vogliamo soprattutto rinnovare a tutti i fedeli cristiani la consolazione che sgorga dalle parole dell’Apocalisse: «Ma essi lo hanno vinto» (l’Accusatore) «grazie al sangue dell’Agnello e alla parola della loro testimonianza e non hanno amato la loro vita fino a morire» (Ap 12,11).

Dove poggia la nostra speranza che la ripresa della Visita pastorale e, soprattutto, l’imminente Assemblea ecclesiale già stanno nutrendo di nuovo vigore? Sulla vittoria conseguita grazie al sangue dell’Agnello. Essa si prolunga nella storia di Mestre per l’ininterrotta secolare testimonianza di una lunga catena di generazioni che oggi vede noi come protagonisti. Testimonianza il cui nucleo incandescente è, a imitazione del Maestro, donare, giorno dopo giorno, la propria vita. Senza questo slancio d’amore il passare degli anni diventerebbe una rapina. Da qui una irriducibile volontà di costruire. Questa è la risposta al disegno di Dio su di noi. È obbedienza alla sua amante volontà per cui San Michele, il nostro patrono, lotta al nostro fianco. Amen