In vista del Natale

Come aiuto a vivere in modo più attento e consapevole il tempo che ci separa dal Natale, anche questa settimana il cardinale Scola offre alcuni spunti di meditazione per la prossima domenica dell’Avvento ambrosiano.


Il precursore

V Domenica d’Avvento

 In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete[1]

 

  1. Ciò che accade realmente compie l’attesa

Il precursore, secondo il trasparente significato etimologico, è colui che «correndo precede un altro per annunciarne l’arrivo»; questo è il titolo con cui la liturgia ambrosiana identifica questa V domenica di Avvento.

Il santo Vangelo ci presenta la figura di Giovanni Battista al centro di una serrata inchiesta da parte di sacerdoti e leviti[2] e da parte dei farisei[3]; la figura del precursore occupa tutto il brano odierno immediatamente successivo al prologo, tratto dal primo capitolo del Vangelo di Giovanni, che dà inizio alla settimana inaugurale della rivelazione di Gesù. Nel Vangelo di oggi i riflettori sono dunque puntati direttamente sul precursore ma, attraverso le sue dirette ed inequivocabili risposte, finiscono su Gesù, il Messia, il già Presente: «Colui – dice Giovanni – che viene dopo di me»[4], ed era prima di me[5].

Nelle domande rivolte al Battista è racchiusa, secondo un incalzante crescendo, tutta l’attesa messianica delle grandi correnti giudaiche (generalmente dei sadducei e dei farisei): «Tu, chi sei?»[6], «sei tu Elia? Sei tu il profeta?»[7]; «Che cosa dici di te stesso?»[8], «perché dunque battezzi?»[9]. Ma il precursore, in modo fermo, rifiuta ogni identificazione tra le immagini messianiche tradizionali e la sua persona e missione: «Io non sono il Cristo[10]», «non sono Elia, non sono il profeta»[11], «a colui che viene dopo di me […] io non sono degno di slegare il laccio del sandalo»[12].

Chi è allora il Precursore? Giovanni Battista è una cerniera, un ponte tra la promessa dell’Antico Testamento (le meraviglie compiute da Dio con il popolo eletto) e la sua realizzazione nuova e definitiva nel Nuovo Testamento (l’avvenimento del Messia). Egli indica perciò, nella sua stessa persona, l’atteggiamento adeguato all’Avvento: l’attesa della venuta del Signore (prima domenica dell’Avvento ambrosiano).

Dalla figura e dalla testimonianza del Battista viene a noi oggi un primo importante insegnamento; egli rifiuta di identificare la sua persona con le immagini tradizionali del Messia. In tal modo ci indica con chiarezza che l’attesa, per sua natura, non può essere ridotta alle immagini con cui noi la formuliamo. Infatti, non si attende qualcosa se già lo si conosce compiutamente; non sarebbe più attesa. Pensiamo alle immagini con cui i genitori si rappresentano il bimbo che aspettano o ai sogni di cui i giovani rivestono il loro futuro; se, in un certo senso, è inevitabile che le nostre immagini/figure tentino di dar forma a ciò che ancora aspettiamo, guai se noi ci arrestassimo ad esse. Esse sono un’apertura a ciò che sta avvenendo, ma solo ciò che accade realmente compie l’attesa. E quando l’avvenimento si attua e supera ogni immagine, inevitabilmente la perfeziona e la corregge.

In questa mancanza di apertura a ciò che sta avvenendo, cioè alla venuta del Figlio di Dio in cui consiste l’autentica attesa, spesso si incaglia la nostra esistenza quotidiana; diventa asfittica, perde respiro, vittima delle nostre troppo incerte e labili immaginazioni sul futuro.

 

  1. Fare spazio al Veniente

L’attesa per eccellenza rinvia ad un altro da sé: «In mezzo a voi sta uno [… ] che viene dietro di me»[13]. È lui la novità, il Verbo di Dio, l’Atteso; il Battista è solo la «voce»[14]. Qui si situa il secondo importante insegnamento dell’odierna liturgia: se l’attesa è fare spazio al Veniente, questo fare spazio implica il riconoscersi meno che schiavi; questo vuol dire, anche per la tradizione rabbinica, l’immagine del «non» essere «degno di slegare il laccio del sandalo»[15].

Stiamo vivendo con il cuore pieno di questa autentica attesa la memoria della venuta del Signore nella carne (Natale) e di quella ventura nella gloria alla fine dei tempi? L’attesa cristianamente intesa è fattore di realismo nella nostra vita, situa nella giusta luce affetti, lavoro, riposo, i «fondamentali» dell’esperienza quotidiana?

 

  1. Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse

Sorge a questo punto una domanda: «Su cosa possiamo e dobbiamo fondare la nostra attesa se non dobbiamo enfatizzare immagini e figure del futuro?». Abbiamo infatti bisogno di certezza per camminare lungo le vie del travaglio dell’ora presente.

Una prima risposta ci viene offerta, con tratti di potente lirismo, da un passo dal forte valore messianico, sia per la tradizione giudaica, sia per quella cristiana: il brano del profeta Isaia che abbiamo sentito proclamare nella prima lettura.

Il regno di Giuda è appena scampato al pericolo della dominazione assira (VIII sec. a.C.). Questo fatto riaccende la speranza nella discendenza davidica: «Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici»[16]. La visione di Isaia presenta una prospettiva ideale di pace universale: «Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto… Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso»[17]. Solo Dio potrà realizzare un simile disegno.

L’autore della Lettera agli Ebrei propone allora di affidarci direttamente a Colui che ha già inaugurato per noi questa prospettiva, «un sacerdote differente [da quelli dell’Antico Testamento], il quale non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la potenza di una vita indistruttibile»[18]. Egli ha adempiuto le profezie (seconda domenica dell’Avvento ambrosiano). Per questo Gesù garantisce «una alleanza migliore»[19], cioè un rapporto indefettibile tra Dio e l’uomo; Egli, infatti, «possiede un sacerdozio che non tramonta»[20]. Da qui il terzo importante insegnamento offertoci dalla liturgia di oggi: Egli può «salvare perfettamente quelli che si avvicinano a Lui»[21].

Su Gesù Cristo stesso, passo, morto e risorto per la nostra salvezza possiamo con speranza certa poggiare la nostra attesa di compimento.

La presenza e l’azione di Cristo ci raggiungono per mezzo della liturgia della Sua Chiesa[22]. Noi lo attendiamo nella Chiesa perché è già venuto a garanzia del fatto che verrà definitivamente: «La tua famiglia già gusta la gioia della tua presenza»[23]. «La nostra redenzione è vicina», ci farà dire il Prefazio. Per questo la partecipazione frequente e consapevole ai sacramenti e agli altri gesti liturgici è la scuola primaria di preghiera.

Il Vangelo di oggi però ci lancia un ammonimento: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete»[24]; questo non conoscere rivolto ai farisei può essere letto come una messa in guardia di fronte alla tentazione di non voler conoscere, di non voler implicarsi con Lui[25]. Torna qui ancora una volta il dramma della libertà, su cui ci siamo già soffermati altre volte.

 

  1. Viene attraverso chi l’ha incontrato

L’autentica attesa del Signore che viene spalanca la libertà al mondo intero: «In quel giorno avverrà che la radice di Iesse sarà un vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia»[26]. Infatti, come abbiamo visto la seconda domenica dell’Avvento ambrosiano, tutti gli uomini e tutti i popoli sono chiamati a diventare «figli del Regno».

La strada perché questa vocazione universale alla salvezza si realizzi ci è stata richiamata da Benedetto XVI: «Dio viene conosciuto attraverso uomini e donne che lo conoscono: la strada verso di Lui passa, in modo concreto, attraverso chi l’ha incontrato. Qui il vostro ruolo di fedeli laici è particolarmente importante. […] Siete chiamati a offrire una testimonianza trasparente della rilevanza della questione di Dio in ogni campo del pensare e dell’agire. Nella famiglia, nel lavoro, come nella politica e nell’economia, l’uomo contemporaneo ha bisogno di vedere con i propri occhi e di toccare con mano come con Dio o senza Dio tutto cambia»[27].

 

  1. Pieni della conoscenza di Dio

Nel Natale ormai imminente chiediamo che lo Spirito Santo intensifichi in noi l’attesa perché il mondo venga riempito della conoscenza del Signore «come le acque ricoprono il mare»[28].


[1] Is 11, 1-10; Sal 97; Eb 7, 1 4-17.22.25; Gv 1, 19-28.

[2] Vangelo, Gv 1, 12.

[3] Vangelo, Gv 1, 24.

[4] Vangelo, Gv 1, 27.

[5] Vangelo, Gv 1, 15c.

[6] Vangelo, Gv 1, 19.

[7] Gv 1, 21.

[8] Gv 1, 22.

[9] Gv 1, 25.

[10] Gv 1, 20.

[11] Cfr. Gv 1, 21.

[12] Gv 1, 27.

[13] Vangelo, Gv 1, 26.

[14] Vangelo, Gv 1, 23.

[15] Vangelo, Gv 1, 27.

[16] Lettura, Is 11, 1.

[17] Lettura, Is 11, 6 e 8.

[18] Epistola, Eb 7, 15-16.

[19] Eb 7, 22.

[20] Eb 7, 24.

[21] Epistola, Eb 7, 25.

[22] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1076.

[23] Orazione dopo la Comunione.

[24] Vangelo, Gv 1, 26.

[25] Cfr. ad es. Gv 8, 19: «Voi non conoscete né me né il Padre, se conosceste me conoscereste il Padre».

[26] Lettura, Is 11, 10.

[27] Benedetto XVI, Discorso alla Plenaria del Pontificio Consiglio Pro laicis, 25.11.2011.

[28] Lettura, Is 11, 9.