A un anno dalla scomparsa, il cardinale Scola ricorda Carlo Maria Martini in un articolo pubblicato su “Il Sole 24 Ore” del 28 agosto 2013
Rileggendo la prima Lettera pastorale del Cardinale Carlo Maria Martini – La dimensione contemplativa della vita, 8 settembre 1980 – si ha subito l’impressione di trovarsi di fronte ad una proposta quanto mai attuale.
Sia pure in un clima molto lontano dall’euforia degli anni 80, preda dell’illusione del benessere a portata di mano, ancor oggi la nostra società, come tutto l’Occidente, mantiene «un indirizzo prevalentemente prassistico, tutto teso al “fare”, al “produrre”, ma che genera, per contraccolpo, un bisogno indistinto di silenzio, di ascolto, di respiro contemplativo» (La dimensione contemplativa della vita I. 2). Trentatré anni dopo e immersi in un profondo travaglio, resta assai elevato il rischio di privilegiare la dimensione del “fare”. Dimentichi o, almeno non pienamente convinti, della sua incapacità di soddisfare il desiderio costitutivo del nostro cuore.
Ma ancor più che su questa semplice constatazione vale la pena soffermarsi sul fatto in se stesso: il primo insegnamento offerto dall’arcivescovo al cammino della Chiesa ambrosiana ha avuto come contenuto una riflessione sulla contemplazione. Perché cominciare proprio da qui? Si può dire che la contemplazione sia un gesto alla portata di tutti? Una base su cui costruire il dialogo con le donne e gli uomini del nostro tempo? Queste domande sono ancora più cogenti oggi. Negli ultimi decenni infatti e a ritmo incalzante abbiamo assistito alla trasformazione della nostra città in una metropoli veramente interculturale e interreligiosa. Chissà se a Milano si prega di più oggi che trent’anni fa… Certo è che a pregare non siamo più solo noi cattolici e, in questo senso, questioni di rilevanza sociale come quella dei luoghi di culto dei seguaci dell’Islam, rimettono nell’agone della pubblica discussione un argomento spiccatamene “religioso” come “la preghiera”.
2 La complessa figura del Cardinale Martini, caratterizzata da aspetti non privi di intrinseca tensione, trova, secondo me, il punto focale proprio nella sua attitudine contemplativa. Nella sala d’ingresso dell’Arcivescovado sono appesi i ritratti dei cardinali di Milano miei predecessori. Quello di Martini, opera del pittore Alessandro Papetti impressiona. Lo considero il meglio riuscito. Il colore dominante è il nero. Ciò rende, al primo colpo d’occhio, enigmatica tutta la tela fin quando lo sguardo non si posa sul volto e sulle mani del Cardinale. A quel punto il ritratto ti coinvolge e capisci che l’artista ha colto il punto nodale della ricca personalità. Qual è?
L’apertura interrogante dell’uomo Martini verso il Mistero affidata dal pittore al volto, soprattutto agli occhi penetranti e alla posa della mani. Mani in movimento, quasi a riprendere la tensione dello sguardo per darvi ulteriore intensità. E la croce pettorale che congiunge quello sguardo indagatore alle mani che ritmano la domanda.
E il ritratto non pone più il Cardinale di fronte allo spettatore, ma al contrario è il Cardinale che coinvolge quest’ultimo nel suo stare davanti a Dio. Una libertà finita che sobriamente si paragona a quella infinita di Dio. Questa è la contemplazione, la dimensione contemplativa del gesuita Martini, l’antefatto, l’orizzonte, il precedente della sua riflessione e della sua azione. Tutto quello che, anche in questi giorni, viene scritto sulla figura, sul pensiero e sull’azione pastorale del Cardinale diventerebbe facilmente unilaterale se non fosse collocato in questa prospettiva unificante.
3 Se di contemplazione si tratta allora è fondamentale, anzitutto, riconoscere il primato, l’imponenza di Dio che ci viene incontro. Tale precedenza caratterizza la fede cristiana in quanto tale.
La centralità della dimensione contemplativa diventa nel Cardinale la “centralità” dell’uomo, di ogni uomo credente e non. Dio ci precede, ci vuole “amici”, veri interlocutori, co-agonisti dell’incontro con Lui, l’unico Protagonista.
Il cardinale Martini descrive l’uomo in questi termini: «Aperto al mistero, paradossale promontorio sporgente sull’Assoluto, essere eccentrico e insoddisfatto» (La dimensione contemplativa della vita I. 3). L’apporto dell’uomo al dialogo di amicizia con il Dio che lo precede è proprio la sua apertura, la sua sporgenza – il cui “paradosso” è dato sia dalla sua natura di creatura finita sia dalla sua condizione peccatrice -, la sua eccentricità – egli è ma non ha in sé l’origine né il fondamento del proprio essere – e, finalmente, in termini più esistenziali, il suo essere permanentemente “inquieto”.
Apertura, sporgenza, eccentricità, insoddisfazione… non sono tutte categorie appropriate per descrivere la tensione positiva alla vita e alla vita per sempre che vive in ogni uomo rendendolo consapevole di non essere lontano da nessun altro uomo? Non esistono domande dei nostri contemporanei che non siano anche le nostre; le “periferie esistenziali” – per usare l’espressione di Papa Francesco – sono innanzitutto i confini della nostra stessa esperienza umana.
La dimensione contemplativa dell’esistenza, in questo modo, restituisce l’uomo a se stesso. Ecco perché non è possibile pensare la preghiera cristiana se non come relazione tra il Tu di Dio e l’io dell’uomo: «La persona, protagonista di ogni preghiera» (La dimensione contemplativa della vita II. 4).
4 Dove si incontrano la precedenza di Dio e la centralità dell’uomo? Dove è possibile parlare del rapporto tra la Trinità e l’uomo come un dialogo tra amici? In Gesù Cristo presente qui ed ora nell’Eucaristia che fa la Chiesa (cfr. La dimensione contemplativa della vita III. 1-3).
Guardando Gesù che ci guarda impariamo il silenzio, il luogo per eccellenza della preghiera cristiana, condizione e frutto dell’atteggiamento contemplativo.
In questa luce si comprendono bene le parole del Cardinale Martini sul nesso eucaristia-carità: «Il frutto fondamentale dell’eucaristia è la carità, come capacità di dare la vita come l’ha data Gesù (…) Gesù dona la vita in nome e in forza di uno speciale rapporto ‘contemplativo’ con il Padre» (La dimensione contemplativa della vita III. 3). La comunione si rivela anche la forma piena di vita degli uomini, del rapporto con Dio e tra di loro. Quanto poi alla natura di questa comunione, Colui che si è lasciato innalzare sulla Croce per la nostra salvezza, cioè per la Sua e nostra risurrezione, ne ha per sempre indicato la legge profonda: chi dà la sua vita la ritrova (cf. Gv 12,25).
5 «A pregare si impara pregando» (La dimensione contemplativa della vita IV. 1). Con questa semplice indicazione, che fa da portico alle parti quarta e quinta della Lettera, il Cardinale Martini richiama la libertà di tutti i cristiani a giocarsi nell’incontro con la Libertà di Dio. Da un certo punto di vista la libertà non si dà prima del suo effettivo mettersi in gioco. Allo stesso modo non è possibile dire in prima persona una parola sulla preghiera prima di pregare personalmente.
Guardando Gesù Cristo anche noi, come i discepoli, possiamo dire: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1).
La mendicanza di Cristo, il grido dell’uomo che invoca da Lui la redenzione è l’esperienza radicale e concreta del riconoscimento che per lo Spirito e solo per Lui la preghiera è possibile: «… lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali siano i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rm 8,26-27).
6 La prima Lettera pastorale del Cardinal Martini riletta ora, alla fine del suo pellegrinaggio terreno, esprime bene il centro della sua personalità, della sua testimonianza di vita, della sua azione pastorale, della sua passione civile, dell’indomito tentativo di indagare fino allo spasimo gli interrogativi brucianti dell’uomo di oggi. La ricca complessità della sua persona e del suo insegnamento continuano ad interrogare uomini e donne di ogni condizione. Lo sguardo austero ed indagatore, le mani ossute mosse da profonda inquietudine, il Crocifisso che tende dall’alto al basso e la Sua persona fasciata dalla nera veste del ritratto di Alessandro Papetti esprimono l’attrattiva di questo singolare arcivescovo di Milano. Un volto che cerca il Volto.
Il Cardinale Angelo Scola è Arcivescovo di Milano