L’appuntamento settimanale con il cardinale Angelo Scola ci porta a riflettere sulle diverse forme del prendersi cura all’interno della famiglia. Ogni sabato l’arcivescovo di Milano propone una meditazione in vista dell’Incontro mondiale delle famiglie, in programma nel capoluogo lombardo dal 30 maggio al 3 giugno. Nei sette interventi che sono stati già pubblicati, Scola ha toccato diversi aspetti che riguardano il profilo sociale ed economico della famiglia, il suo ruolo e il suo compito educativo, il dialogo fra generazioni, il rapporto con il mondo del lavoro e con quello del fisco che deve lasciare più risorse nelle case. Oggi si sofferma sulla cura in famiglia come modalità non formale da trapiantare più in generale nella società. Prendersi cura di chi ci vive accanto è un’esperienza di cui l’uomo ha bisogno per trovare piena e compiuta realizzazione. Secondo una suggestiva espressione della sociologa Margaret Archer, infatti, l’interesse per l’altro rivela le nostre “premure fondamentali”.
di Angelo Scola
Fin dalla più tenera età, è la famiglia a porsi come luogo privilegiato della cura. In essa non solo beneficiamo delle attenzioni amorevoli dei nostri cari, ma diventiamo noi stessi protagonisti di cure sollecite verso di loro. Negli aspetti più contingenti della vita di tutti i giorni, così come nelle intime motivazioni che sostengono le relazioni familiari, il prendersi cura manifesta la bellezza dello stare insieme. Con la stessa evidenza, il suo venir meno è sintomo e causa di gravi incrinature che feriscono e lacerano la consistenza del nucleo familiare.
La cura reciproca permette a ciascun membro della famiglia di cimentarsi nel dono gratuito di sé: in questo modo egli diventa artefice di preziosi gesti di condivisione e di solidarietà. Ogni uomo, infatti, porta inscritto nella propria identità un profondo “senso generativo”: il bisogno di dare vita, di spendersi affinché questa cresca e fiorisca, prendendosi cura di chi ama.
La cura in famiglia può concretizzarsi in molteplici forme, secondo la peculiarità dei legami che si instaurano e i diversi tipi di bisogni che si presentano. All’interno della coppia degli sposi, ad esempio, il reciproco volersi bene avrà a cuore la valorizzazione dell’identità e della differenza dell’altro; la preoccupazione dei genitori verso i figli si esprimerà maggiormente nella cura del rapporto educativo, mentre quella dei figli verso i genitori anziani si rivelerà piuttosto come cura della riconoscenza nei loro confronti. La saggezza della Scrittura ammonisce: «Onora tuo padre con tutto il cuore e non dimenticarti delle doglie di tua madre. Ricorda che essi ti hanno generato: che cosa darai loro in cambio di quanto ti hanno dato?» (Sir 7,27-28).
Dal punto di vista dei bisogni, l’impegno richiesto per accudire i più piccoli, totalmente dipendenti nelle loro esigenze vitali, sarà diverso dalla dedizione necessaria a fronte di gravi malattie, invalidanti o croniche e, segnatamente, da quella domandata alla generazione di mezzo – composta per lo più da tardo adulti e anziani – nell’assistere chi si avvia a concludere la sua esistenza terrena. Tuttavia resta comune – pur entro i limiti di ciascuno – un’esperienza umana profonda, fatta di rispetto per le differenze, passione per il dialogo e premura per le necessità degli altri, in particolare dei più fragili. L’esercizio della cura reciproca costruisce a poco a poco le relazioni e le rinsalda nel tempo; al contrario, l’impossibilità o l’incapacità di prendersi cura dell’altro conduce purtroppo a sperimentare, anche nei nuclei familiari, una sorta di vincolo di-sperante, cioè distruttore di speranza.
Sebbene la tensione all’aiuto e al sostegno coinvolga entrambi i sessi e non diminuisca con l’avanzare dell’età – prova ne sia il fatto che il 2012 è stato intitolato Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni – le ricerche tendono ad evidenziare una netta prevalenza dei carichi di cura affidati alla responsabilità delle donne, soprattutto madri. Sollecitate dall’inclinazione tipicamente femminile al prendersi cura, esse riescono spesso ad attivare una complessa e virtuosa rete di attenzioni e di assistenza sia verso i figli che vivono in famiglia, sia verso i giovani adulti usciti di casa, sia verso le giovani coppie. Hanno però bisogno, a loro volta, di sentirsi sostenute da una relazione di coppia forte e solidale, da un amore che le colma e le rende sicure e in grado di portare fuori dai confini familiari questo prezioso orientamento al dono. In caso contrario, il peso del compito eccede le loro risorse, le opprime e rende loro impossibile una libera dedizione.
La modalità squisitamente familiare – non burocratica e non formale – di scambiarsi aiuto e sostegno, si inserisce in tessuti comunitari e circuiti relazionali più ampi. Arriva così ad acquisire notevole rilevanza anche a livello sociale, per i benefici effetti apportati soprattutto nell’ambito della solidarietà tra le diverse generazioni. È quindi facilmente intuibile l’estrema importanza, per la società nel suo complesso, che le relazioni familiari ricevano adeguato e competente supporto. Come ho già avuto modo di scrivere a proposito di politiche familiari, un welfare di comunità maturo dovrebbe saper riconoscere nella famiglia un soggetto capace di azioni a rilevante valenza sociale. Di conseguenza, dovrebbe esercitare nei suoi confronti le dovute funzioni di sussidiarietà.