Continua la collaborazione del cardinale Angelo Scola, con il «Messaggero di sant’Antonio». Ogni mese si rivolge ai lettori della rivista parlando di vita buona, riallacciandosi all’omonimo libro-intervista con il giornalista Aldo Cazzullo.
I cristiani vogliono essere umile eco della passione di Cristo per ogni uomo, perché egli sia felice. Le loro opere sanno coniugare carità e competenza. È questa l’unica strada per la realizzazione di sé. Perché, per amare il prossimo, bisogna essere amati autenticamente.
Quando ero a Venezia rimasi molto colpito da un’osservazione fatta dall’allora sindaco Massimo Cacciari: «Senza l’azione di carità della Chiesa veneziana verso gli ultimi, nessuna istituzione dello Stato – né Comune, né Provincia, né Regione – ce la farebbe». Qualunque cosa si possa pensare della Chiesa, questo resta un dato inaffondabile. Un’affermazione di non poco conto, coi
tempi che corrono. Per lo Stato, non si tratta tanto di riuscire a farcela, rendendo inutile l’azione della Chiesa. Nell’affrontare la povertà e il bisogno, la malattia e l’emarginazione, tale azione resta insostituibile.
«L’amore (caritas) – scrive Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus caritas est – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore».
Vorrei proporvi alcuni lineamenti di questo servizio dell’amore che da sempre i cristiani svolgono nel mondo dando vita a una ricchissima sinfonia di opere sociali. Da duemila anni, la storia dell’uomo è illuminata dall’azione di innumerevoli santi della carità, che hanno creato, nei più diversi contesti, spazi di vita buona. Anzitutto guardiamo alla sorgente di queste opere. Per esprimerla non trovo formula migliore della risposta che la beata Madre Teresa di Calcutta diede a un giornalista che le chiedeva il segreto dell’impressionante azione delle sue suore tra i derelitti.
«Esse amano Gesù – spiegò con un sorriso la Madre – e trasformano in azione vivente questo amore». Non siamo noi la risposta al bisogno del mondo. Non siamo noi a salvare gli altri. L’equivoco di Donna Prassede è duro a morire! Essa – scrive il Manzoni ne I Promessi Sposi – «oltre il bene chiaro e immediato (dare ospitalità a Lucia, appena liberata dall’Innominato), ce ne vedeva e se ne proponeva un altro, forse più considerabile, secondo lei;di raddrizzare un cervello, di metter sulla buona strada». C’è un unico Salvatore dal quale siamo «presi a servizio» (l’espressione, al
passivo, mi piace molto più dell’attivo «servire »). Noi siamo, infatti, semplici strumenti dell’azione di un Altro.<br<
«Se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (1Cor 13,3) dice san Paolo. La carità è dare la vita per l’opera di un Altro, a imitazione di Gesù che ha donato se stesso sulla croce, acconsentendo al disegno di salvezza del Padre a favore dell’uomo. Ogni opera tra cristiani è sempre opera di Dio che essi umilmente servono. Per definire l’impegno dei cristiani in favore degli ultimi, è preferibileusare la parola gratuità, che coglie il cuore della questione: per amare l’Altro ho bisogno di essere autenticamente amato.
Gratuità però non significa pressapochismo, anzi. Il servizio dell’amore, come insegnano gli sposi e i genitori, è accurato.
Non lascia perdere nulla del bene dell’Altro, che ci interessa e ci coinvolge non soprattutto per il limite o il bisogno che ha, ma per il semplice fatto che c’è. I cristiani vogliono essere umile eco della passione di Cristo per ogni uomo, perché egli sia felice.
Per questo le loro opere sanno coniugare carità e competenza. E sanno che questa è l’unica strada per realizzare sé. Il giorno di san Francesco a Milano ho celebrato la Messa per l’Opera San Francesco per i poveri, impressionante per la ricchezza e le dimensioni di iniziative che realizza in favore degli ultimi. Lo slogan di presentazione sul sito internet dell’Opera è: «Siate
egoisti: fate del bene». Una provocazioneparadosso che dice una verità. Nell’esercizio della carità, a qualunque livello – da quello più personale e nascosto a quello che dà vita a opere e istituzioni – è in gioco l’autenticità della propria fede, non solo il risolvere i problemi degli altri.