OMELIA REDENTORE – Qui di seguito il testo dell’omelia pronunciata dal Patriarca durante la celebrazione di domenica 18 luglio nella Basilica del Santissimo Redentore a Venezia:
1. «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla» (Sal 22,1). Il versetto del Salmo esprime la nostra soddisfazione piena. Dio è presente nella nostra vita. Si prende cura di noi. Lo fa con un amore personale («Io passerò in rassegna le mie pecore» Ez 4,12b). Lo fa con una fedeltà indomabile. «Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia» (Ez 34,16).
Anche questa sera, facendoci ricalcare le secolari orme dei nostri padri, il Redentore è venuto a cercarci con tenerezza e ci ha condotto, una volta ancora, in questo splendido tempio palladiano che rivela tutta la sua bellezza nella esemplarità del suo ordine architettonico.
Tutti noi percepiamo, in questo momento, l’abbraccio del grande Crocifisso che sovrasta l’altare di questa basilica. E lo sguardo del Redentore questa sera non perde di vista nessuno delle migliaia e migliaia di persone che, sulle barche o sulle spiagge, hanno affollato e affollano la nostra laguna in questa preziosa occasione.
2. Tuttavia quella del Buon Pastore non è un’immagine commovente, ma destinata a sfocarsi fino ad essere inghiottita dal ritmo quotidiano della vita. Il gesto eucaristico che stiamo compiendo è l’azione più espressiva del nostro io e della nostra comunione. L’avevano ben capito i nostri padri nell’ora della grande prova, quando decisero di edificare questo tempio e soprattutto di rinnovare ogni anno lo scioglimento del voto. No, il nostro non è un rito esteriore. Questo gesto scaturisce dalla coscienza più o meno acuta di noi tutti che di redenzione abbiamo bisogno oggi, qui ed ora. La «speranza che non delude» (Rm 5,5) ci è necessaria questa sera per affrontare il peccato e il male dentro e fuori di noi. Ci rendiamo ben conto, nella nostra vita di tutti i giorni, del rischio di perderci. Ma un Padre «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Con Lui niente di ciò che sentiamo come irrinunciabile e costitutivo per la nostra umanità – nessun impeto di vita, nessun anelito di bene, nessun desiderio di compimento, nessuna urgenza di verità e di giustizia …- va perduto, ma è anzi as-sicurato. Trova la strada del “per sempre”.
3. Di che natura è quest’amore con cui Dio ci ama ad uno ad uno in modo personale, fedele, esclusivo? Il suo infatti non è un amore astratto ed impersonale. In Cristo Gesù Dio, per amore, si è fatto come uno di noi. Giustamente la Bibbia chiama quest’amore il bell’amore. Il Redentore infatti, l’Amore in persona, è la Bellezza visibile del Dio invisibile. Egli è il bell’amore perché ci comunica, se Lo accogliamo, questa bellezza che ci apre a relazioni nuove. Per grazia ci capita quanto diceva San Bonaventura: colui che contempla Dio, che si lascia coinvolgere dal suo amore e lo ricambia, è reso tutto bello (pulchrificatur).
Questa capacità di rendere bello l’altro è ciò che manca troppo spesso nell’esperienza affettiva e sessuale degli uomini e delle donne di oggi. Occorre riscoprire il nesso tra il bell’amore, l’affezione e la sessualità. Mostrare che la soddisfazione piena del desiderio domanda di ritrovare il vero volto dell’altro, soprattutto nel rapporto uomo-donna. E imparare di nuovo come la sfera affettiva e sessuale esiga di essere integrata nella totalità dell’io attraverso una grande virtù oggi purtroppo in disuso, irrisa, quando non apertamente disprezzata: la castità.
4. La castità tiene in ordine l’io, uno di anima e di corpo. Così come il genio creativo del Palladio ha saputo tenere in ordine le forme architettoniche di questo tempio attraverso l’unità che potenzia il valore di ogni suo singolo elemento. Eliminare la castità significa ridurre l’amore ad una meccanica abilità sessuale, veicolata da una sottocultura delle relazioni umane che si fonda su un grave equivoco e cioè sull’idea che nell’uomo esista un istinto sessuale. Non è vero, come dimostra certa psicanalisi: anche nel nostro inconscio più profondo niente si gioca senza un coinvolgimento dell’io. Il sacrificio ed il distacco richiesti dalla castità non sono fine a se stessi. Nessun uomo cerca il sacrificio per il sacrificio. Il sacrificio è solo una condizione. È quella condizione che non annulla il possesso, ma anzi lo potenzia. I dottori della Chiesa parlavano in proposito di gaudium (godimento). Il piacere, che per sua natura finisce subito, chiede di essere inserito nel godimento, perché se resta chiuso in se stesso lentamente avvizzisce il possesso, lo intristisce, lo deprime. Mi colpisce il fatto che quando dico queste cose ai giovani incontro più sorpresa ed interesse che obiezione.
5. «Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua croce hai redento il mondo» (Canto al Vangelo). Realmente il Redentore ci ha liberati dal peccato e dalla morte, ma domanda alla nostra libertà di lasciarsi da essi liberare. Si tratta di una lotta. Il nemico è la paura della morte, spesso segreta padrona delle relazioni affettive. Essa è all’origine della smania del “tutto e subito” nei rapporti tra l’uomo e la donna che, con la stessa rapidità, si bruciano e si moltiplicano. La stessa dinamica affligge il rapporto tra le generazioni: la decisione di generare o di non generare figli, sovente è determinata dalla paura del carattere contingente dell’esistenza.
Contro il veleno di morte che si insinua in ogni umana relazione si erge il bell’amore del nostro Redentore. La sua cura tenera e forte è un invito per noi tutti a percorrere, al di là delle nostre fragilità, questa via maestra. Il bell’amore è l’amore casto.
Questa sera, nello sciogliere il voto, chiediamo a Gesù Eucaristia che uomini e donne nel nostro patriarcato sappiano essere testimoni convincenti della gioia piena che viene da questo amore oggettivo ed effettivo. Amare l’altro di un amore che libera e non che lega è la proposta per i nostri giovani. Il sacramento del matrimonio, indissolubile fedele e fecondo, è dono prezioso per la Chiesa e per la società. La risposta coraggiosa alla chiamata verginale è anticipo del gaudio eterno nella storia. L’accettazione del celibato, a cui i sacerdoti si impegnano in modo libero e consapevole, non implica mutilazione psicologia e spirituale alcuna, ma è compimento pieno della loro personalità e nello stesso tempo partecipazione alla cura amorosa che il Redentore ha di ciascuno di noi. Il tragico scandalo della pedofilia che ha ferito la Chiesa domanda, come ha affermato il Santo Padre nella Lettera ai cristiani di Irlanda, “misericordia”, “giustizia in leale collaborazione con le autorità civili” ed “espiazione”. Chiediamo al Redentore, questa sera, di saper percorrere con decisione la strada della penitenza, cioè del rinnovato incontro e rapporto personale e comunitario con Lui.
6. Di fronte alla bellezza e alla pienezza di questa prospettiva è comprensibile che si insinui in noi l’obiezione che fu già dei primi (cfr Mt 19,10.26): “questo è impossibile all’uomo”. Ma l’acuta conoscenza dell’animo umano di San Paolo sbaraglia in noi ogni resistenza: «mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Non sulle sabbie mobili della nostra fragilità vogliamo percorrere la strada del bell’amore, ma affidandoci alla grazia del Redentore, a Cristo Sposo che ama la Chiesa Sposa, a Maria Santissima madre del bell’amore, alla schiera innumerevole di santi, in stragrande maggioranza anonimi, che documentano il realismo e l’efficacia della virtù della castità. Amen