VENEZIA – Viene qui riproposto un articolo redatto dal Patriarca in occasione del quinto anniversario dell’elezione di Benedetto XVI al pontificato e pubblicato dal settimanale spagnolo Alfa y Omega:

“Dio è il tema pratico e il tema realistico per l’uomo – allora e sempre”: in questa affermazione del cardinale Ratzinger si rintraccia uno degli assi portanti del magistero di Papa Benedetto XVI: il primato di Dio. Di ciò si trova conferma durante tutto il corso di questi primi cinque anni del suo pontificato.

Sono parole che, lontane da ogni tipo di considerazione astratta dell’avventura umana, riescono piuttosto a cogliere la storia nel suo aspetto più radicale: il suo significato ed il suo destino fanno emergere come questione centrale la questione di Dio.

Il teocentrismo che segna tutta l’opera del pensatore Ratzinger e del Magistero di Benedetto XVI non va però inteso in antitesi con la centralità dell’uomo e di tutta la realtà creata. Perché la centralità di Dio non può mai andare contro l’uomo e il cosmo, anzi, ne assicura la reale consistenza. Al punto che, ha rilevato Papa Benedetto, “se manca Dio, viene meno la speranza. Tutto perde di ‘spessore'”.

Perché “Dio non manchi” è necessario che Lo possiamo riconoscere, che sia a noi contemporaneo, che lo possiamo incontrare di persona. Se è vero che la “grande speranza può essere solo Dio”, occorre riconoscere che non parliamo di un qualsiasi Dio, ma del Dio di Gesù Cristo. È l’evento salvifico di Gesù Cristo, presente nella storia, quindi a noi contemporaneo appunto, in modo eminente attraverso l’azione sacramentale, ad assicurare che la centralità di Dio non confligge con la centralità dell’uomo-cosmo.

Il Dio incarnato precede sempre l’uomo – lo aspetta, dice Benedetto XVI – suscitando la sua domanda di salvezza. Che è la domanda di libertà e di felicità, potremmo dire utilizzando le due parole preferite dalla sensibilità degli uomini di oggi. O forse, andando ancora più a fondo, che è la domanda delle domande, quella cui il cuore dell’uomo non cessa di anelare, cioè la domanda sull’amore.

Non la domanda astratta circa la natura dell’amore, ma quella concreta e personale: “Alla fine, qualcuno mi ama?”. A questa domanda radicale risponde Dio stesso rivelando il Suo nome: “Gesù ci ha manifestato il volto di Dio, uno nell’essenza e trino nelle persone: Dio è Amore “.

L’esperienza dell’amore sgorga per ciascuno di noi da quella dell’essere amati che permanentemente ci precede e ci costituisce. Una precedenza che vive eucaristicamente nella Chiesa, il popolo di Dio. Annota, a proposito dei grandi oratori romani, Leopardi nello Zibaldone: “Osservate come l’eloquenza vera non abbia fiorito mai se non quando ha avuto il popolo per uditore. Intendo un popolo padrone di sé, e non servo, un popolo vivo e non un popolo morto”.

Le parole di Papa Benedetto hanno certamente come interlocutore un simile popolo e non solo il popolo dei fedeli. La commovente dedizione, l’umiltà e l’energia spirituale con cui egli prende sul serio questo popolo spiega lo spessore del suo magistero e lo straordinario ascolto che da cinque anni riceve da parte di tutti, giovani e adulti, semplici ed eruditi, dai bambini fino agli intellettuali e ai capi di stato. Ci si può allora stupire se il Suo insegnamento e la Sua persona, sulle orme di Cristo, siano talora segno di contraddizione?

A Papa Benedetto XVI in questo anniversario i cristiani riconfermano con forza il loro affetto e la loro appassionata sequela.