BUONE RAGIONI PER LA VITA IN COMUNE – Viene qui di seguito proposto un articolo pubblicato il 13 novembre sull’ultima pubblicazione del Patriarca, “Buone ragioni per la vita in comune. Religione, politica, economia” (Mondadori 2010, pag. 120, euro 17,50), da “Tutto libri”, inserto culturale de “La Stampa”:
Patriarca profuma d’Oriente, rimanda ai padri antichi, all’autorità morale che consentì loro di condurre popoli fuori da deserti naturali e spirituali. Patriarca, come a Costantinopoli, è ancora il capo della Chiesa di Venezia. Lo furono Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I. Anche Giovanni Urbani, successore di Roncalli in San Marco, sembrava destinato a diventare papa se la morte non l’avesse fermato sulla soglia.
Tutti e tre guidarono i fedeli con un’attenzione partecipe alle disuguaglianze sociali e ai problemi del vivere insieme, aprirono con speciale disponibilità un dialogo fecondo con altre religioni. Si sentivano eredi della Repubblica del leone, per secoli «società plurale» di popoli, fedi, culture, costumi. L’istituzione del ghetto per gli ebrei nel 1516, metastasi dell’emarginazione spagnola irradiatasi sull’Europa, non aveva impedito loro una presenza proficua nella vita cittadina. Accoglienza, tolleranza, convivenza erano forti nella Serenissima quanto le leggi che regolavano acque, commerci, alleanze.
Con tanta eredità corroborata da vasta dottrina, il patriarca Angelo Scola offre Buone ragioni per la vita in comune (Mondadori, pp.108, €17,50). Dal 2002 sulla cattedra marciana, l’insigne teologo si chiede «chi sia l’uomo del terzo millennio” sulla Terra mutata dai traumi del crollo del Muro di Berlino vent’anni fa, delle Torri Gemelle di New York nel 2001 e dell’economia mondiale. Sessualità-matrimonio-famiglia, aborto-eutanasia, lavoro-capitale-profitto, opinione pubblica-dominio delle reti, natura-laboratori della tecno scienza: l’incalzante “meticciato di civiltà e culture” fa più sensibili i nervi scoperti della società, più disorientata la coscienza personale.
E’ urgente «un nuovo pensiero della laicità» che, oltre la neutralità e la tolleranza, riconosca «il potenziale di positività» nelle religioni e nel dialogo tra loro, purchè rompano con le derive integraliste e fondamentaliste. Tra Aristotele e von Balthasar, Eliot e Buber, Jonas e Maritain, Matteo e Nietzsche, Tommaso e Quinzio, il patriarca cerca la rotta per una «moralità comune», che trasformi la differenza in ricchezza. Consiglia Dio quale «presenza “conveniente”», offre una nuova «grammatica per narrarlo».
(Alberto Sinigaglia)