Mandato agli Evangelizzatori e ai Catechisti

IL MANDATO DEL PATRIARCA –  In data 25 settembre  nella Basilica di S. Marco a Venezia il Patriarca ha conferito il Mandato a tutti coloro che svolgono, nei diversi ambiti della comunità cristiana, un compito di educazione e formazione alla fede nei riguardi dei bambini e dei ragazzi, dei giovani e degli adulti. 

Viene qui di seguito pubblicato il testo dell’omelia pronunciata dal Patriarca:

1. «Lo circondò, lo allevò, lo custodì come la pupilla del suo occhio» (Dt 32,10). Questo versetto della Prima Lettura, da subito, carissimi/e, spalanca il nostro cuore al significato profondo di questo gesto decisivo per la vita della Chiesa veneziana. Ancora una volta siamo convenuti, nella splendida Basilica di San Marco da ogni parte della Diocesi, per ricevere dalle mani del vescovo il mandato di attuare, in varie forme, il compito educativo a favore di uomini e donne in tutte le stagioni della loro esistenza.

«Al cuore dell’educazione sta la dimensione generativa umana, che è genesi e legame, relazione e riconoscimento, trasmissione e tradizione, responsabilità e fedeltà, interessamento e cura» (da: La sfida educativa  a cura del Progetto culturale CEI, Laterza 2009, p 12).

Si educa sempre e solo dentro una relazione. Il brano dell’odierno Vangelo di Luca, su cui siete stati invitati a riflettere con strumenti appropriati per prepararvi a questo gesto, ci presenta nella figura del padre buono il paradigma di ogni rapporto educativo. Conviene identificarne subito la cifra essenziale: se si è chiamati ad essere educatori allora si è chiamati non solo ad essere maestri, ma ad essere padri. 

2. Vorrei illustrare un poco, per me e per voi, taluni caratteri essenziali della relazione di paternità, senza la quale non si dà in ultima analisi educazione

Anzitutto il padre è colui che mette in comune con il figlio tutta la “sostanza” del suo essere padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo» (Lc 15,31). Il figlio maggiore non l’ha dilapidata come il figlio minore, ma non l’ha riconosciuta.

In forza di questo dono totale di sé il Padre «rimane fedele per sempre» (dal Salmo responsoriale). Il rapporto di paternità è per sempre, è un bene inalienabile che non può essere distrutto da nessun comportamento del figlio: «Un figlio, anche se prodigo, non cessa di esser figlio reale di suo padre .Da qui la gioia per “un bene ritrovato, che nel caso del figliol prodigo fu il ritorno alla verità su se stesso» (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 6).

In terzo luogo il padre afferma sempre la libertà del figlio, la lascia essere. Non però come astensione, estraneità, assenza, ma attraverso l’iniziativa instancabile ed inesauribile dell’amore: «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (Lc 15,20).

«L’educazione è in tutto e sempre una vicenda di libertà impegnata rischiosamente a suscitare altra libertà e nuova responsabilità» (da: La sfida educativa…, p. 17). Un atteggiamento ben espresso dalle parole del grande pedagogista Gesualdo Nosengo citate dal cartoncino d’invito a questo nostro gesto.

In quarto luogo questa indomita passione per la libertà del figlio è all’origine del dolore e della gioia del Padre «facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Lc 15,24). Dalla meditazione del vescovo Bruno Forte (v. fogli preparatori): «È un Dio che non rimane estraneo al dolore degli uomini, prigioniero di un divino egoismo, ma sa “com-patire” la storia della Sua creatura. Come afferma Giovanni Paolo II nell’enciclica Dominum et vivificantem (nn. 39 e 41)». Il Padre, per amore di noi uomini e per la nostra salvezza accetta lo strazio che suo Figlio, in Gesù, muoia per liberarci dal male e donarci la vita piena (eterna.). Non c’è educazione senza sacrificio. 

3. Educare all’incontro con Cristo nella comunità secondo i quattro criteri qui richiamati (dono totale di sé, per sempre, nella libertà, sacrificio) significa vivere in prima persona e suscitare nell’educando la scoperta di essere figli nel Figlio: questa è la vocazione educativa del cristiano che esalta, compiendola, l’esperienza propria di ogni padre/madre e di ogni figlio: la vera libertà è appartenere, riconoscersi figli nel Figlio. Libero non è colui che spezza i legami, al contrario libero è colui che cerca indomito relazioni buone da cui scaturiscono pratiche virtuose.

Benedetto XVI, riferendosi al pericolo che corrono coloro che “sono in regola”, come è il caso del fratello maggiore del Vangelo afferma: “C’è un’invidia nascosta per quello che l’altro ha potuto permettersi. Non hanno percorso il cammino che ha purificato il fratello più giovane e gli ha fatto conoscere che cosa significa la libertà, che cosa significa essere figlio. Gestiscono la loro libertà, in definitiva, come una schiavitù e non sono maturi fino al vero essere di figli” (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli 2007, p 249). 

4. Quanto detto fin qui passa per tutti noi, a cominciare da chi vi parla, da una grande inevitabile condizione. E’ descritta con efficacia dalla Seconda lettura: «Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni. Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato…» (1Tm 6,12-13).

La verità (tanto più le verità della nostra fede) non è un discorso da ripetere, ma un’esperienza da testimoniare. Senza testimonianza non si può imparare e quindi non è possibile educare. L’educatore è uno che, come Gesù, rende testimonianza alla verità: «La testimonianza ha sempre due decisivi connotati: il coinvolgimento personale, il dono totale di sé che si esprime nella comunicazione, nel racconto che però deve giungere sempre a rendere omaggio alla verità tutta intera. In concreto per il cristiano la testimonianza consiste nell’obiettiva sequela di Gesù, carica del coraggio di riconoscerLo di fronte al mondo, come Lui fece di fronte a Pilato» (dalla Seconda Assemblea ecclesiale, 11 ottobre 2009). Non c’è autentico sapere, di ogni genere e grado, se non fiorisce sul terreno del sapere originario della testimonianza che è conoscenza e comunicazione della verità primaria. Quella che risponde alle domande ultime che ogni uomo si porta nel cuore, quella in cui in concreto si articola il suo desiderio, consapevole o meno, di Dio. 

5. Per questo nella nostra Chiesa insistiamo sulla necessità di edificare, a tutti i livelli, con l’aiuto dello Spirito e per l’intercessione della Vergine Santissima, comunità nelle quali bambini, adolescenti, giovani ed adulti possano seguire Gesù, via alla verità e alla vita. Per questa stessa ragione riproponiamo con forza questa sera come decisive per ogni opera educativa, in particolare per l’iniziazione comunità educanti, in forza delle quali la proposta cristiana sia invito a coinvolgersi con una vita in atto. Comunità ben visibili e documentate, a livello parrocchiale, vicariale, diocesano in forza delle quali si possa ripetere al nostro “fratello uomo” la suadente e libera offerta di Gesù: “Vieni e vedi”. 

6. Per intercessione di un grande maestro, il Beato Cardinal Newman, chiediamo di corrispondere al ritratto delineato nel suo famoso appello al laicato della Chiesa inglese: «Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nei discorsi, non polemico, ma uomini che conoscono la propria religione, che in essa vi entrino, che sappiano bene dove si ergono, che sanno cosa credono e cosa non credono, che conoscono il proprio credo così bene da dare conto di esso, che conoscono così bene la storia da poterlo difendere» (J. H. Newman, The Present Position of Catholics in England, IX, 390, citato da Benedetto XVI nell’Omelia della Messa per la beatificazione, Birmingham, 19 settembre 2010). Amen.