Conferenza internazionale, Cracovia

CRISTIANI IN EUROPA – E’ stata promossa a Cracovia il 10 e 11 settembre, dall’Università Cattolica Giovanni Paolo II di Cracovia, dalla Fondazione Adenauer e dalla Fondazione Schuman, la Conferenza internazionale sul tema “Il contributo dei cristianiani nel processo di integrazione europea”.

Tra i relatori: il Patriarca di Venezia, card. Angelo Scola, il card. Stanislaw Dziwisz, Arcivescovo di Cracovia, Hans Gert Pöttering, presidente della Fondazione Adenauer, Jacques Santer, presidente della Fondazione Schuman e diversi membri del parlamento europeo.

Qui di seguito un estratto dell’intervento del Patriarca pubblicato dal “Gazzettino” domenica 12 settembre (sarà disponibilenei prossimi giorni, su questo sito, il testo integrale):

Quale il contributo dei cristiani oggi all’Europa?

L’identità europea ha sempre presentato tratti paradossali.

La storia del nostro continente mostra, da una parte, una comune appartenenza, dall’altra è altrettanto evidente come il patrimonio condiviso molti secoli si sia sempre declinato in una tale pluralità di forme, di culture, di lingue da far apparire, ad uno sguardo superficiale, quasi ingiustificato il riferimento a una qualche unità originaria. Interrogarsi oggi sull’identità europea dopo i 60 anni di cammino significa da una parte riconoscere che, stante la complessità dei processi in atto, nessun Stato nazionale può affrontarli da solo e quindi l’Europa non è un’opzione ma una vera necessità; dall’altra non rinunciare ad un ideale identitario che, in qualche modo, funga da principio unificatore.

Al di là dei tanti innegabili apporti che nel corso dei secoli hanno contribuito a modellarne il volto – penso a Gerusalemme, Atene e Roma, fino alle istanze moderne circa il peso del soggetto e quelle illuministiche di uguaglianza – mi sembra che elementi decisivi di queste radici possano essere oggettivamente reperite nel nucleo del cristianesimo inteso secondo il criterio della secondarietà, Rémi Brague la rappresenta come la forma realistica con cui perseguire l’unità europea. Secondario fu l’atteggiamento romano che recepì, custodì e trasmise come patrimonio proprio la sintesi ellenistica di Atene e Gerusalemme. Secondario è il cristianesimo che si sa secondo rispetto alla Prima Alleanza. Da qui la singolare capacità critica dell’Europa nei confronti di ogni civiltà e cultura perché eviti di concepirsi come fondamento di se stessa.

E tuttavia non è sufficiente considerare le radici per raccogliere la sfida della realtà storica odierna.

Per contribuire ad una Europa plurale i cristiani dovrebbero mostrare la rilevanza della relazione filiale con Dio Padre, inconcepibile prima della rivelazione cristiana. … Né la polis greca, né la civitas romana – con il sensazionale sviluppo del diritto da essa realizzata – avevano mai inteso la società come famiglia e come casa. In entrambe la dignità dell’uomo e la sua libertà erano subordinate al riconoscimento del suo status di cittadino. Mancava il riferimento a quell’origine trascendente e personale che genera continuamente un’unità tra i figli e rigenera continuamente la loro libertà. È col cristianesimo che la nozione di cittadino viene integrata da quella di persona, spalancando all’uomo la sua piena identità.

Muovendo da questa chiave interpretativa, è evidente che il processo di integrazione europea non si colloca come una possibilità tra le altre, ma possiede in un certo senso la forza di un destino che gli uomini europei hanno la missione di compiere.

Tuttavia i cristiani sono sicuramente ben attrezzati per far fronte a quell’inevitabile tensione tra identità e differenza, tra unità e pluralità, che è in realtà propria di ogni epoca storica. In concreto, il loro impegno sarà quello di ripensare gli assiomi su cui poggiano le nostre democrazie procedurali e il principio di laicità sul quale intendono reggersi. In una società plurale, per sua natura tendenzialmente molto conflittuale, la laicità è tale solo se crea condizioni che garantiscano la narrazione ed il contenuto di tutti i soggetti personali e sociali che la abitano in vista del reciproco riconoscimento (Ricoeur). L’ Europa esige oggi una nuova laicità che valorizzi tutti i soggetti che agiscono nella società plurale garantendo l’espressione pubblica delle loro convinzioni più profonde. Solo così sarà possibile una convivenza tendenzialmente armonica che generi vita buona. Per perseguire tale complessa armonia è necessario il riconoscimento pratico – sottolineo riconoscimento pratico – dei beni materiali e spirituali da condividere: come già sosteneva Maritain nel 1947 all’UNESCO non si tratta di formulare in astratto un accordo teoretico tra diverse mondovisioni. È necessario, attraverso procedure pattuite, conferire valore politico al bene sociale primario di carattere pratico: il fatto di vivere insieme. Questo dato sociale deve essere elevato al rango di bene politico da tutti e promosso dalle istituzioni.

In questo modo la differenza, talora acuta, tra l’azione politica comune e le varie identità culturali cessa, almeno in linea di principio, di essere conflittuale.