“IL CIELO SOPRA LA LAGUNA” – In occasione della festa dei Giubilei Sacerdotali il 3 giugno nella Basilica di San Marco Evangelista a Venezia il Patriarca ha letto questo testo che introduce alla lettura del libro di S. Em. Card. Marco Cè “Il cielo sopra la laguna” (Marcianum).

Viene qui di seguito pubblicato l’intervento del Patriarca (per maggiori informazioni sul libro cliccare qui):

Queste omelie sono vere e proprie meditazioni sul ministero sacerdotale. Storie di preti intrecciate con quelle delle loro comunità e della loro gente. 

1. Certo: sono omelie in occasione della morte, ma vista nel suo profondo senso cristico, come dono di sé al Padre e ai fratelli.

Sono quindi un inno all’amore: “Scelse di vivere la sua morte come un evento di vita, non eludendo il problema, né anestetizzandosi con arrogante indifferenza…” (p 277).

Una ricchissima catechesi sulla speranza: “La morte del cristiano non è un incidente, ma il punto più alto dell’esistere, il bocciolo che fiorisce nel giorno senza tramonto. Per questo il cristiano non la subisce, la vive. La vive e la costruisce per tutta la vita. Però, per noi come per Gesù, la morte… non perde la sua drammaticità” (p 174).

Ma, appunto, non senza drammaticità: “Perdonaci, Signore, se ti abbiamo chiesto ragione di ciò che hai fatto, se ti abbiamo innalzato il nostro grido di lamento e di stupore. … Ecco, io metto la mano alla bocca e sto zitto… Parla tu, parla tu, Signore; io ti dico pregiudizialmente di sì: perché tu sei Padre, sei la verità, tu sei luce, anche se noi siamo ciechi e non ti vediamo” (p 79).

“Il Signore lo ha preso per mano con forza e lo ha condotto dove lui voleva. Dio gli ha voluto molto bene: è stato un dialogo forte il loro, talora una lotta come quella di Giacobbe, ma Dio ha vinto” (p 216).

2. In esse è rievocata la singolarità di ogni volto, della storia di ognuno, non però come elogio fine a se stesso, ma per mettere in evidenza la singolarità di ogni vocazione, senza mai censurare i limiti e le fragilità che, nell’umile fedeltà a Colui che ci ama per primo, sono trasformati dal fuoco incandescente del Suo amore misericordioso: “Ora la luce si è fatta nel suo cuore. Ora lui sa che se Dio è con noi, niente può essere contro di noi: niente ci può accusare o condannare e tanto meno separare dall’amore di Dio, il quale per noi non ha risparmiato il Figlio” (p 110).

Come magistralmente annotò Giovanni Paolo II qualche mese prima di morire nelle straordinarie liriche del Trittico romano: “… il giudizio! Definitiva trasparenza e luce. Trasparenza degli eventi, trasparenza della coscienza. … Non dimenticate: «Omnia nuda et aperta sunt ante oculos Eius»”.

3. In ogni omelia viene richiamato il nesso con il tempo liturgico (tempo come sacramento dell’eterno) in cui è avvenuta la morte del sacerdote, a sottolineare che la storia del singolo cristiano come di tutto il mondo è saldamente tenuta nelle mani di un Padre provvidente. Un esempio: la morte di un sacerdote avvenuta due giorni prima della Trasfigurazione: “Tutta la vita cristiana è questo cammino di Trasfigurazione in Cristo: nella lotta e nella fatica di ogni giorno, con la grazia della Parola, dei sacramenti, e con la vita dello Spirito dentro alla Chiesa. Fino all’atto supremo della Trasfigurazione in Cristo che è il momento supremo della nostra morte. Nella morte, il germe donato a ciascuno nel Battesimo porta il suo frutto di vita più maturo. La morte del cristiano è lo sbocciare della vita divina in lui; è la piena Trasfigurazione” (p 159).

4. È normale, in tutte, il riferimento sia alla familiarità di alcuni volti terreni, sia a quella dei Santi di Venezia invocati perché vengano incontro al sacerdote passato all’altra riva e lo accompagnino in Paradiso e perché concedano “la grazia di credere, sperare sempre e di testimoniare davanti a tutti che la partecipazione alla croce di Cristo è la nostra gloria: essa solo è salvezza e risurrezione” (p 83).

5. Immancabile in ogni omelia è anche la supplica per le vocazioni sacerdotali, fecondità del chicco di grano che muore.

6. La Lettera che Papa Benedetto ha scritto per l’indizione dell’Anno sacerdotale che sta per concludersi ci permette di leggere in filigrana alcuni tratti del volto del prete così come emergono dalle omelie del Patriarca Marco: «[Il Santo Curato d’Ars] nel suo tempo, ha saputo trasformare il cuore e la vita di tante persone, perché è riuscito a far loro percepire l’amore misericordioso del Signore. Urge anche nel nostro tempo un simile annuncio e una simile testimonianza della verità dell’amore» (Benedetto XVI, Lettera per l’indizione dell’anno sacerdotale). 

• Prete è l’avvocato difensore presso Dio della sua gente

“Qualche volta ci tocca anche bisticciare con Dio, come ha fatto Gesù sulla croce: «Perdona loro, non sanno quello che fanno» «Come non lo sanno?Bestemmiatori, deicidi» «No, Padre, non lo sanno. Credi a me. Tu sai che io ti voglio bene, credimi che non lo sanno. Io li conosco, sono le mie pecore: proprio non lo sanno». O come fece Mosè, quando disse a Dio: «Se vuoi distruggere la mia gente, prendi anche me. Non pensare di risparmiare me, se vuoi distruggere loro». Don *** è stato un prete così: amò Dio, amando la sua gente” (p 166).

• La sproporzione non è motivo di timore, ma di amore

«Il Santo Curato d’Ars parlava del sacerdozio come se non riuscisse a capacitarsi della grandezza del dono e del compito affidati ad una creatura umana: “Oh come il prete è grande!… “Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento, ma di amore… Senza il prete la morte e la passione di Nostro Signore non servirebbero a niente. È il prete che continua l’opera della Redenzione sulla terra» [Le Sacerdoce, c’est l’amour du cœur de Jésus” (in Le curé d’Ars. Sa pensée – Son cœur. Présentés par l’Abbé Bernard Nodet, éd. X. Mappus, Foi Vivante, 1966, p 98-100)] in: Benedetto XVI, Lettera per l’indizione dell’anno sacerdotale.

• In persona Christi capitis

“Nel suo ministero ha agito in persona Christi, quasi offrendo un corpo al Risorto ormai invisibile” (p 179). “Niente c’è di più grande nel mondo e nella storia della morte di un uomo che muoia nella fede del Crocifisso Risorto; niente è più glorioso di un sacerdote che ha dato la vita per i suoi fratelli” (p 98).

• “Propter nos homines”

“Un prete, come non vive per sé, così non muore per sé. Un prete muore per la sua comunità” (p 143). “Io vi consegno la vita di don *** come il mistero dell’Agnello di Nazareth, immolato sulla croce di Gesù, per tutti noi! Un frammento della Pasqua di Cristo per la nostra salvezza” (p 151).

• Forma eucaristica della vita sacerdotale

“Gesù ha detto: «Padre, è giunta l’ora. Glorifica il tuo figlio». … In un momento preciso nella sua malattia sono entrate – dolcemente ma decisamente – delle motivazioni che, lette nella fede a partire da ciò che è accaduto, non potevano non portarlo all’immolazione: un’immolazione che è però potenza di vita, com’è del grano di fumento, com’è dell’immolazione di Gesù” (p 149). “Nella sua morte egli ha suggellato tutte le sue Eucaristie, ha detto il suo Amen alla Parola di Dio predicata e il suo Battesimo ha portato in lui il frutto più maturo” (p 81).

“Ora l’Eucaristia, che ha trasformato la sua vita a immagine di quella di Cristo, è fiorita nell’eternità” (p 116).

• In un abbandono progressivo

“La strada dell’uomo di Dio non va dalla passività all’attività, ma dall’azione alla passione” (p 197).

“Questa Chiesa non ci appartiene, è sua. Il suo futuro non è nelle nostre mani, ma nelle sue. Le strade per realizzarlo non sono le nostre, ma le sue. Lasciamoci condurre. Nostra sicurezza non sia la strada che vediamo, ma il calore della sua mano che tiene la nostra” (p 214).

• Nutriti dalla Parola di Dio

Siamo veramente pervasi dalla Parola di Dio? È vero che essa è il nutrimento di cui viviamo, più di quanto lo siano il pane e le cose di questo mondo? La conosciamo davvero? La amiamo? Ci occupiamo interiormente di questa Parola al punto che essa realmente dia un’impronta alla nostra vita e formi il nostro pensiero?” (Benedetto XVI, Lettera per l’indizione dell’anno sacerdotale).