E’ disponibile l’articolo a firma del card. Angelo Scola pubblicato dal quotidiano economico Il sole 24 ore in data 24 Aprile 2009.

Davanti al “male oscuro” della crisi economica in atto, la cui lettura rischia di scivolare facilmente da un estremo all’altro, dall’allarmismo alla semplificazione, è inevitabile tentare e ritentare un’interpretazione.
Solo se la si coglie nella sua radice profonda, sarà possibile trovare alla crisi soluzioni concrete e durevoli, senza indugiare in risposte che, per quanto generose, rischiano di non essere adeguate alle richieste da essa emergenti.
Come stiamo interpretando, dunque, questa crisi? Come vogliamo criticamente accompagnarla?
Credo si tratti di una crisi di cultura in senso forte.
Aldilà delle analisi specialistiche sulla “bolla finanziaria” che sta producendo gravi conseguenze sulla realtà produttiva con la perdita di molti posti di lavoro, aldilà dell’ulteriore infragilimento delle fasce più deboli a livello nazionale e internazionale, in una parola aldilà delle letture economico-finanziarie documentate ogni giorno dai media, la crisi mostra una duplice radice culturale.
La prima consiste nell’illusione neo-illuminista del progresso come processo lineare sempre crescente in costante ascesa.
Invece, come la storia documenta, in nessun campo della vita pratica si dà una crescita progressiva lineare. La storia ha sempre un andamento ondulatorio di cui si deve considerare la risultante.
Questo vale anche per la sfera economico-finanziaria. Nonostante la sfera della finanza preveda la “crisi come fattore fisiologico” non ci si è abbandonati all’illusione di una crescita inarrestabile?
Ma la seconda più grave radice della crisi sta nella rimozione del soggetto personale e comunitario dalla sfera economico-produttiva. Invece, come ben insegna la Dottrina sociale della Chiesa, il soggetto del lavoro non può mai essere subordinato al capitale in nessuna sua forma.
Quando il soggetto comunitario e personale, cioè l’io e la trama costitutiva di rapporti in cui è immerso, viene dimenticato o strumentalizzato da un sistema astratto di fattori e di politiche regolative, allora – presto o tardi – si produce un contraccolpo. Esplodono una serie di contraddizioni di cui inesorabilmente poi il soggetto stesso, in particolare nei suoi anelli più deboli, deve pagare lo scotto.
Da qui un’altra considerazione non secondaria.
Tra le analisi che – da persona non competente – ho potuto leggere sulla crisi, mi ha particolarmente colpito il rilievo di quanti ne fanno risalire l’inizio al periodo del crollo demografico della metà degli anni ’70. Un aspetto fondamentale di questa tesi sostiene che ciò ha depotenziato di molto il ricorso al risparmio delle famiglie in tutto il primo mondo, soprattutto negli Stati Uniti. È opinione diffusa infatti che se non si hanno figli, non si risparmia. Lo sviluppo si sarebbe così appoggiato all’esasperazione del mercato finanziario. Su questo dato conviene in ogni caso meditare in tutta Europa e, soprattutto, in Italia.
Usciremo da questa crisi in maniera nobile e oggettiva, dunque, solo se andremo al fondo della sua radice culturale e degli elementi che la compongono, se rivedremo le regole della finanza e dell’economia riponendo al centro il soggetto personale e comunitario e, infine, se ci decideremo a prendere in considerazione i paesi più poveri, trattandoli da attori responsabili nel processo di sviluppo. Dovremo anche trovare strade che coinvolgano il continente africano, evitando di ripetere gli errori commessi nella pur importante apertura ai mondi cinese e indiano, coi quali abbiamo avviato grandi scambi economici senza richiedere il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo.
Infine vorrei riferirmi all’orizzonte entro cui questa proposta di lettura si colloca: è necessaria un’educazione – che coinvolga tutti – a degli stili di vita sobri e solidali.
Uno stile di vita degno di questo nome è integrale: coinvolge gli affetti, il lavoro, il riposo per arrivare ad un rapporto corretto con i beni, teso a superare l’oscenità consumistica che non è meno deprimente dell’oscenità erotica.
La sobrietà ha bisogno di responsabilità e libertà, perciò non può non cominciare dalla persona: devo cambiare io, in me stesso e nelle mie relazioni con gli altri e con Dio. Cambieranno così gli attori della società civile e quanti hanno responsabilità di governo.
La società civile italiana è certamente una delle più vitali in Europa, come stiamo vedendo anche a proposito della tragedia aquilana. In questa fase di rapida e contraddittoria transizione è il valore aggiunto che dà speranza. A condizione di non dimenticare l’acuto avvertimento di Eliot: «Gli uomini han sempre cercato di sfuggire dall’oscurità interiore ed esteriore fino a sognare sistemi talmente perfetti che nessuno avrebbe più bisogno di essere buono».