Emerge un approfondito bilancio dei quasi dieci anni di episcopato veneziano nell’ampia intervista che il card. Angelo Scola ha rilasciato al settimanale diocesano Gente Veneta, a Telechiara e Bluradio Veneto pochi giorni prima del suo “congedo” dalla Chiesa e dalla comunità civile veneziana.

Si anticipano qui alcuni estratti di questa articolata e densa conversazione, in uscita sul settimanale diocesano Gente Veneta in edicola sabato 3 settembre, trasmessa su Telechiara (canale 14 del digitale terrestre) sabato 3 alle ore 21.00 e domenica 4 alle 16.00 ed infine da Bluradio Veneto (fm 88.7 – 94.6) lunedì 5 settembre alle ore 21.00.

Incontro della caritàAlla domanda su come sia stato il suo inserimento nella realtà veneziana e sui momenti più significativi di questo periodo il card. Scola ha così risposto: “Io sono partito da ciò che mi disse Giovanni Paolo II durante la cena mi disse che mi avrebbe mandato a Venezia: il problema della Chiesa di oggi è rigenerare il soggetto che è il popolo sulla base di una dottrina sana e di una prassi solida. A rinnovare non è una dialettica tra una teoria che si suppone al passo con i tempi o una teoria che si suppone capace di garantire una grande tradizione, ma è la rigenerazione del soggetto personale e comunitario a partire da ciò che poi Benedetto XVI ha esplicitato nel prologo della Deus caritas est: il cristianesimo è essenzialmente un incontro personale con Cristo nella comunità cristiana prima di essere ovviamente anche una dottrina e una morale. Quindi la mia preoccupazione è stata quella di una pastorale a 360 gradi che avesse come preoccupazione la rigenerazione della persona in Cristo attraverso un’appartenenza forte a delle comunità cristiane vive ed oggettive”. Ed ha quindi aggiunto: “Tutto quello che ho fatto l’ho fatto in quest’ottica: da Oasis al Marcianum, alla Scuola Santa Caterina, alle Unità di Lavoro per la Transizione, alla Visita pastorale, al potenziamento dei patronati, al rilancio delle aggregazioni ecclesiali, alla Scuola di Metodo, alle comunità pastorali… ho sempre cercato di tenere unito questo sguardo e di non perdere di vista questo scopo. Mi rendo conto che non sono sempre stato capace di far passare questa visione integrale; taluni forse non l’hanno capita o non l’hanno voluta capire. Da questo punto di vista è una visione molto parziale dire che Scola lascia a Venezia il Marcianum, Oasis… Dò molto più peso, per esempio, al lavoro con i vicari e i provicari foranei e con il Consiglio di Curia, con i quali ho sperimentato una comunione profonda che è arrivata a valutazioni e ad azioni molto precise e pertinenti nelle diverse situazioni pastorali. Ho apprezzato molto la Visita pastorale e la Scuola di Metodo. Se lascio un’eredità la vedo soprattutto a partire da questi dati”.

Ripercorrendo i temi fondamentali toccati in questi anni nel suo ministero veneziano il card. Scola si è soffermato in particolare  sull’educazione al gratuito: “La gratuità viene spesso recepita come un darsi da fare con grande generosità, anche ispirandosi al Vangelo, per aiutare i più bisognosi. Il che è sacrosanto e bellissimo. Ma quando parlo di gratuito io intendo un’altra cosa: che l’uomo al di fuori dell’esperienza dell’amore non capisce se stesso. Uno ha bisogno di essere definitivamente amato, anche oltre la morte, per poter definitivamente amare. Se le cose stanno così, uno deve imparare a donare la vita; e questo esige un’educazione appassionata, attenta, fedele, rigorosa all’amore, che duri lungo tutto l’arco dell’esistenza. L’unico modo che l’uomo, essere limitato, ha di imparare è quello di ripetere con fedeltà dei gesti in cui una determinata dimensione venga esercitata il più possibile. Io dico allora: come la Chiesa, molto saggiamente, per educarci al rapporto con Gesù da sempre ci domanda di partecipare consapevolmente all’azione sacramentale della Santa Messa ogni domenica, così noi dovremmo individuare un gesto gratuito da vivere con le nostre comunità, regolarmente, fedelmente, lungo tutto l’arco dell’esistenza”.

Sull’intenso rapporto intercorso tra il Patriarca di Venezia e i mondi della cultura, dell’economia e delle istituzioni, il card. Scola ha osservato: “Da dove è nata in me l’urgenza di questo rapporto? Siccome la religione cristiana ha a che fare con la vita quotidiana dell’uomo, allora tutto ci interessa. Con due punti fermi: la consapevolezza della distinzione netta tra la dimensione religiosa della vita dell’uomo e la dimensione civile; e, secondo, il dato, ormai incontrovertibile, della società plurale che ci chiede di paragonarci instancabilmente come cristiani, con grande libertà e con energia costruttiva, con soggetti che hanno una visione di vita differente. Questo ci spinge a costruire una società in cui la vita buona sia possibile, il buon governo sia realizzabile. Pratiche virtuose possono farci guardare con sufficiente speranza al futuro. Questo è il senso dell’impegno”. Il rapporto con le istituzioni, in particolare, “è stato molto rispettoso da parte di tutti e anche molto positivo con tutti coloro che in questo decennio hanno occupato posti di responsabilità in Regione, Provincia, Comuni, Municipalità… Mi pare però che la questione sia di altra natura: la transizione in atto non può non toccare le modalità di rapporto fra Chiesa, società civile e istituzioni. Bisogna lasciare emergere i segni che urgono ad un cambiamento e pazientemente cercare di costruirlo. E qui torna attuale il metodo delle implicazioni sociali della vita cristiana: bisognerebbe che nel Nordest – ma non solo: in Italia e in Europa – i cristiani si interrogassero molto di più sulla modalità con cui attuare la dimensione pubblica della fede nel processo di grande cambiamento in atto. Sarebbe qui necessario entrare nei problemi specifici, anche in quelli che sono occasione di dialettica e di conflitto con altri soggetti che abitano la nostra società plurale. Penso ai temi scottanti della nascita, della morte, della bioetica in generale, dell’educazione, della giustizia sociale ecc.”.

Incalzato sul tema della crisi economica e delle situazioni di difficoltà nel mondo del lavoro, anche veneziano, il card. Scola si è così espresso: “Cosa può fare la Chiesa di fronte a questa drammatica situazione di crisi? Vedo un’analogia con il compito cui è chiamata, a breve termine, nei confronti degli immigrati. Noi dobbiamo lanciarci in una condivisione immediata, con l’impeto appassionato al grande bene che è la vita di ogni singolo uomo e al suo destino. Non sono mancati nella crisi aiuti economici anche consistenti da parte della Chiesa italiana alle famiglie e ai lavoratori. Ma né tocca a noi come Chiesa, né abbiamo la possibilità di proporre soluzioni politiche al problema. Attenzione, qui c’è però un punto su cui dobbiamo essere chiari: ai cristiani, soprattutto ai fedeli laici cristiani, tocca partecipare a questo compito sociale e politico in maniera molto più pronunciata di quanto non sia avvenuto in questi ultimi anni. Il cristiano è cittadino e deve esserlo fino in fondo. Anzi, come diceva il grande Péguy: il cristiano è cittadino per eccellenza, proprio perché la prospettiva della vita eterna, lungi dal generare un disimpegno col quaggiù, offre la possibilità di edificarlo al meglio, con una solida distanza critica. Spesso comunque sulle questioni legate alla crisi dei posti di lavoro mi sono trovato di fronte ad un dilemma che mi ha angosciato: di non fare solo parole, di non pensare che due dichiarazioni rilasciate alla stampa possano risolvere il problema…”.

Quanto all’area del Nordest, anche alla luce del “grande dono” della recente visita di Papa Benedetto, il card. Scola evidenzia che “il Nordest è anzitutto chiamato a ripensarsi nella direzione di un recupero, ovviamente adeguato all’oggi, degli orizzonti larghi che sono alla base della sua nascita e crescita. Dobbiamo ritrovare come Chiesa e come società, anzitutto, questo spazio più largo che farà bene all’Europa e all’Italia nello stesso tempo. Il futuro del Nordest è legato anche al suo essere nuova cerniera tra Nord e Sud. E gli eventi che stanno capitando in tutta l’Africa del nord e anche in taluni paesi del Vicino e del Medio Oriente urgono ad assumere questa prospettiva. Ancora una volta, non solo a partire dalla nostra grande esperienza di commerci e di industria ma come sforzo di condivisione benefica di culture diverse e di edificazione di una civiltà che abbia un respiro effettivamente internazionale, che sia plurale ma che non rinunci all’unità. Senza unità non c’è civiltà”.

Visita pastorale alla parrocchia di San Giacomo dall'Orio

Ad una domanda su come la Chiesa di Venezia si può preparare ad accogliere bene il nuovo Patriarca di Venezia, il card. Scola si è, infine, soffermato a riflettere tra l’altro sulla questione del “pregiudizio” con queste parole: “Dico sempre che avere pre-giudizi è in qualche modo inevitabile. Il punto non è che ci siano pregiudizi, ma l’obiettivo è di superarli, di non incanaglirsi in essi… Però i pregiudizi sono più simili alla neve – che si scioglie facilmente – che alla roccia, che resiste. Basta andare al significato etimologico della parola: se sono pre-giudizi non sono giudizi, cioè prescindono dalla conoscenza reale. La grande strada è infatti quella della conoscenza reale. Poi, certo, essendo noi uomini, ciascuno può ostinarsi nel suo pregiudizio… Ciò non toglie, però, che il criterio di fondo resta quello della comunione, soprattutto con il vescovo. Il pregiudizio fa parte del dinamismo di ogni rapporto: io non posso entrare in relazione con una persona senza farmi di lei un’opinione o senza avere una reazione nei suoi confronti. Questo è un dato inevitabile. Il problema nasce se io mi fermo a questo stadio o addirittura se elaboro il pregiudizio. Per superare tale pericolo ci vuole un fattore che vada oltre me e te, a cui io mi possa rifare. Del resto è quello che avviene tra un marito e una moglie quando entrano in difficoltà: l’energia per recuperare il loro rapporto è un fattore che sta oltre loro. Gesù Cristo, che ci dona tutti i giorni la possibilità di una fraternità, è questo fattore che va oltre”.