Pubblichiamo una riflessione dell’Arcivescovo su questa terza domenica.

Da quando il Signore è venuto in mezzo a noi, incarnandosi, la realtà non è più un mistero indecifrabile, né ostile. La nostra vita non è in balìa di una forza oscura e capricciosa (il Fato dei pagani), da cui difendersi o da scongiurare. Dio che ha fatto tutte le cose e che, in questo stesso istante, ci dona di esistere, è presente tra noi e non ci abbandona. Ma noi abbiamo bisogno di riconoscere la Sua compagnia quotidiana e provvidente, abbiamo bisogno che cresca in noi la certezza della Sua presenza, abbiamo bisogno che la speranza non sia pura intenzione, ma la stoffa della nostra vita.

Infatti, a nessuno di noi sfugge – basta accendere il televisore o qualsiasi altro dei new-media! – la durezza di quello che Pavese definì «il mestiere di vivere». Una durezza tanto più pesante quanto più sentiamo la sproporzione tra le miserie, fisiche e morali, fuori e dentro di noi, e le nostre forze. Parlare di speranza in tale situazione sembra ingenuo, quando non addirittura crudele. «Occorre essere realisti», ci sentiamo continuamente ripetere e ripetiamo a noi stessi. Ma chi è più realista del Figlio di Dio incarnato? Nel Natale di cui siamo in trepida attesa, l’Emanuele, il Dio con noi, è venuto a farsi compagnia nella carne, giorno dopo giorno. Egli sostiene la nostra storia personale e quella di tutta la famiglia umana. Se ce ne dimentichiamo, veniamo sempre più spinti nel vicolo cieco della rassegnazione.

Come sconfiggere lo scetticismo sempre in agguato? Da dove può fiorire, tenace, la speranza per affrontare ogni mattina l’esistenza da uomini e donne liberi?

La Chiesa, in questa terza domenica di Avvento, ci indica i segni del compimento, nel Signore Gesù, delle promesse fatte ai nostri padri. Il Vangelo ci ricorda la risposta che Gesù diede a coloro che, inviati da Giovanni, lo interrogavano sulla sua identità: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo».

Oggi questi stessi segni sono visibili nelle donne e negli uomini che sanno farsi carico dei bisogni degli altri, soprattutto degli “esclusi”, fino a farli fiorire in desiderio e a soddisfarli in modo sovrabbondante. Non però secondo la nostra misura, ma sbaragliando le nostre aspettative. Gesù, infatti, non viene “a sistemare le cose”, ma a proporci la Sua compagnia, cioè il Suo sguardo – mentalità e sentimenti – sulla realtà.

Abbiamo, però, bisogno di mendicare un cuore semplice, da fanciullo, capace di riconoscere i segni della misericordia del Signore. Un cuore povero, senza niente da difendere, ma aperto a ricevere tutto da Lui.

La visita di Papa Francesco del 25 marzo prossimo a Milano sarà una speciale occasione/provocazione per confermare la nostra fede e rimuovere tutte le nostre resistenze alla correzione e alla conversione.