FILO DIRETTO – Viene pubblicata qui di seguito la riflessione di Mons. Lucio Cilia, rettore del seminario del Patriarcato di Venezia, proposta in occasione del “filo diretto” curato da BluRadio Veneto lunedì 19 luglio durante il quale alcune personalità hanno commentato il discorso del Redentore del Patriarca. (il testo sbobinato non è stato rivisto dall’autore):

Il Patriarca riconosce che c’è un’esperienza di fragilità anche nella vita della sessualità tra le persone che credono in Gesù. Ma la fragilità non deve spaventare né deve eliminare l’ideale grande dell’amore di cui ha parlato. Il “bell’amore” deve stare dentro al cuore delle persone anche quando sperimentano la loro fragilità. Quindi la fragilità non deve eliminare il desiderio di amare in maniera giusta,come il Patriarca ha spiegato.

Ha parlato anche di timore e tremore, parlando dell’adesione alla scelta del celibato per il Regno dei Cieli e del matrimonio indissolubile, di queste scelte così impegnative perchè in esse uno deve tener conto della propria fragilità. Ma questa non deve bloccarlo. Ciascuno deve, semmai, riconoscere il proprio peccato e nello stesso tempo deve essere capace di allargare il proprio cuore a questa prospettiva grande dell’amore. Quindi sentire che il sacrificio – legato alla scelta della indissolubilità nella vita e della fedeltà – non è qualcosa che blocca la vita, ma rende l’amore più vero. Accettare il sacrificio del dono di sé nell’amore fa giungere a quella gioia e qual gaudio pieno che dura per la vita. E questo vale anche per la scelta del celibato per il Regno dei Cieli. C’è un timore tremore perchè di fronte a questo ideale così alto uno deve sempre fare i conti con la propria fragilità.

Certamente, oggi, la nostra società fa fatica a capire queste parole. Ma come il Patriarca dice, importante è che anche noi, che le pronunciamo, cerchiamo di raggiungere le ragioni antropologiche di queste parole. Non è soltanto un imperativo morale ed etico distaccato dalle esigeneze della persona. Quando si parla della castità, di questa necessità di tenere unito l’io, di questa capacità di sacrificio, non lo si fa perchè si ha quasi la volontà di complicare la vita ma perchè si riconosce che questa è la strada per giungere alla gioia vera, al gaudium, al quale il Patriarca fa riferimento nel suo discorso. Che cosa vuol dire? Vuol dire che, parlando per esempio dei giovani che scelgono la via del celibato sacerdotale, non è che lo scelgano per un motivo funzionale, perchè siano più liberi per il servizio nella Chiesa. Questo sarebbe un motivo insufficiente che non sostiene poi la fatica e la capacità di sacrificio.

Perciò non si tratta soltanto di aver più tempo o essere “più libero da”. Certamente un prete testimonia anche questa libertà nel servizio ma c’è una ragione più profonda che lo sostiene: seguire Gesù che è stato celibe, che non ha avuto una famiglia, che non ha generato secondo la carne. Ma la ragione che spinge un giovane a vivere questo ideale è proprio l’aver sperimentato quella promessa che Gesù ha fatto: chi abbandona famiglia, padre, madre per me, riceverà un centuplo nella relazione con i fratelli e le sorelle. Ha sentito che di fatto il sacrificio gli apre un’opportunità di amore, di relazione, di relazione profonda che sostiene. Perchè nessuno può vivere senza affetto, nessuno può vivere senza esercitare la propria capacità di amare. Ma la convinzione è che il sacrificio, la rinuncia per il Regno piuttosto che per la moglie, per il marito, la rinuncia alla propria vita per donarsi, è una strada che dà forza all’io, lo rende più convinto, lo rende più gioioso. Per questo il Patriarca anche alla fine dell’omelia parlava delle coppie che alla fine della messa o della visita pastorale vanno da lui e pieni di gioia dicono: “sono cinquant’anni anni che siamo sposati”, “sono sessent’anni che siamo sposati”. Questa vita di fedeltà alla fine è feconda. E’ feconda proprio di umanità.

La differenza sessuale non si può negare perchè sarebbe falso e sarebbe impossibile. Quindi, che cosa vuol dire accettare questa differenza? Vuol dire riconoscere innanzitutto che uno non è completo in sè stesso ma che ha bisogno di relazione, ha bisogno di uscire da sé stesso. Questo è innanzitutto il messaggio della differenza sessuale: nessuno si compie da solo, nessuno può darsi la gioia da solo. Inoltre è necessario anche, per colui che sceglie il celibato, il confronto, con la donna, con il mondo femminile. Certo dentro l’ottica del dono totale al Signore. Io credo che sia molto significativa questa espressione in un mondo che spesso presenta cattivi modelli e dove noi dovremmo essere capaci di far emergere invece la positività della proposta cristiana.