FILO DIRETTO – Viene pubblicata qui di seguito la riflessione della scrittrice Antonia Arslan proposta in occasione del “filo diretto” curato da BluRadio Veneto durante il quale alcune personalità hanno commentato il discorso del Redentore  del Patriarca. (il testo sbobinato non è stato rivisto dall’autore):

L’amore come bellezza capace di far scaturire il bello dall’altro è un tema estremamente stimolante. Il tema della bellezza coniugato a quello dell’amore è un tema pieno di implicazioni, pieno di strade parallele che ci riconducono tutte a una realtà, l’amore. Spesso amore, come lo si intende oggi, è una forma scarnificata, deprivata, povera dell’amore. E’ stato buttato via il bambino, come si dice, “con l’acqua del bagno”. Certe forme di liberalizzazione, anche sessuale, erano anche utili, auspicabili in certe occasioni, o cancellazioni di certe ipocrisie hanno portato con sé questa povertà attuale. Una povertà che nega proprio il concetto di bellezza, l’idea della bellezza dell’altro. Proprio nella “Masseria delle allodole”, quello è un tema che corre lungo tutto il libro, anche se non è in primo piano, perchè naturalmente in primo piano c’è la tragedia, la persecuzione e la fine del popolo armeno. Ma il tema dell’amore fra i due protagonisti, il mio prozio Senbat e la moglie Sushaniti, invece, è un vero amore coniugale, un tipo di amore di cui oggi non si parla più, non si parla mai, ma che è pieno di implicazioni, di ricchezza e, se bene inteso, vede proprio nell’altro il completamento di sé stessi e la bellezza e crea una bellezza nuova che si percepisce intorno. Tutti noi abbiamo visto delle volte delle coppie antiche, che sono insieme da tanti anni e che miracolosamente non danno quell’impressione di ammuffito o di prevalenza di vecchie abitudini, ma che danno l’idea di qualche cosa che, in qualche modo, riposa su una solida intesa ,che è una continua creazione. Secondo me è proprio creazione di bellezza. La fatica c’è, ma è una fatica che diventa, appunto, come la fatica del creatore: si suda, ci si stanca, ogni tanto si prenderebbe a pugni la propria opera, ma alla fine la si compie.

Ecco, il Patriarca nel suo discorso cita anche più volte la parola “sacrificio”. Fatica e sacrificio, appunto, nella costruzione e nel mantenimento di questo amore, ma solamente attraverso il sacrificio c’è poi il compimento di sé. La parola “sacrificio” è una parola che oggi sembra fuori moda ma che in realtà è estremamente praticata, per esempio, da tutti coloro che vogliono ottenere un risultato in una disciplina agonistica. A quanti sacrifici si sottopone una ragazzina, per esempio, come una giovane liceale che io conosco bene, che fa anche danza ritmica e che riesca a fare tutt’e due con una quantità di sacrifici, di stanchezza aggiunta a quello che è il suo lavoro di studente. Qualsiasi campione te lo può dire, no? Quanta fatica, quante ore e ore di allenamento. Allora perchè questa parola diventa, nel campo dei sentimenti, come qualcosa di ammuffito e di obsoleto? Ma è ovvio, tutti facciamo qualche sacrificio. Se tu aspetti l’amata di cui sei innamorato, sotto un albero, e questa ritarda, tu ti stanchi a stare in piedi, fai un piccolo sacrificio per lei, piccolo o grande. E’ una parola che, appunto, è stata cancellata da questa visione riduttiva, solipsistica e amara, possiamo dire, del sentimento e dell’amore.

Non ho usato per caso la parola “amaro”. E’ un’amarezza alla fine questa ripetizione che non si esaurisce mai, ma che diventa in qualche modo una specie di catena vincolante. Ma l’esistenza non passa attraverso il puro atto sessuale, altrimenti sarebbe tutto così triste. Noi abbiamo una quantità di dimensioni meravigliose nel cuore. L’atto sessuale è importantissimo, è una forza che muove la vita ma non può essere una forza solipsistica. Il compito allora della letteratura contemporanea in questo campo è smettere di guardarsi l’ombelico. Il lavoro dello scrittore è come un artigianato, proprio perchè è paziente, deve continuamente anche aprirsi. Se tu badi solo a te stesso e ai mille movimenti delle tue emozioni, in pratica, ti limiti fortemente, ti autocensuri in quello che puoi o potresti fare. Anche se racconti di cose pratiche, anche se racconti di eventi che sono in sé tragici, essendo tu, essere umano, che attraverso i tuoi personaggi attraversi questa storia, in qualche modo, porti la tua umanità e se la neghi, anche il lettore magari ti legge, ma poi si stufa. L’anno scorso quando sono stata ammalata mi è capitato di sentire proprio su di me, questa volta ne ero io il centro, l’amore di tante persone, l’affetto che mi circondava, che mi aiutava ed è stato un’esperienza straordinaria che mi ha cambiato in profondità.