VENEZIA – In data 28 marzo a Venezia il card. Angelo Scola ha presieduto la solenne processione, con benedizione delle Palme, che partita da Campo S. Maria Formosa si è poi diretta verso la basilica cattedrale di S. Marco dove ha avuto luogo la S. Messa.

Di seguito viene riproposta l’Omelia del Patriarca:

1. «Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada… tutta la folla dei discepoli… cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto» (Lc 19,36-37).

Carissimi, quella a cui stiamo partecipando non è una sacra rappresentazione – un gesto che noi compiamo per celebrare l’inizio dei grandi avvenimenti della settimana Santa -, ma un’azione liturgica, cioè anzitutto un gesto di Dio per noi e con noi. Il suo significato definitivo è indicato dall’Orazione che abbiamo recitato all’inizio della processione delle palme: «Dio onnipotente ed eterno, benedici questi rami, e concedi a noi tuoi fedeli, che accompagniamo esultanti il Cristo, nostro Re e Signore, di giungere con lui alla Gerusalemme del cielo».

Come i suoi, abbiamo accompagnato il Signore che, deciso, è entrato nella Gerusalemme della sua passione per giungere a quella della sua gloria. Prestiamo però attenzione alla strada (metodo) scelta da Gesù per questo passaggio (Pasqua). È quella dell’umiliazione, della sofferenza e della morte. Lo abbiamo ascoltato dalla lettura integrale del Passio dell’evangelista Luca. «Regnavit a ligno Deus»: così recita un antico Inno. Dio ha regnato dalla Croce.

2. Il “mondo” era ed è tuttora pieno di scherno per questo tipo di regalità: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso» (Lc 23,37). Il Crocifisso non ha mai cessato e non cessa di essere scandalo e follia.

Dove erano, quando Gesù agonizzava sulla croce, quelli che lo avevano acclamato come Messia mentre entrava in Gerusalemme? Debole è l’uomo (anche il potere del procuratore romano Pilato è profondamente debole e svela una ributtante pavidità). Debolissimo è l’uomo, pieno di incoerenza e fragilità, facile al dubbio e ancor più allo scandalo. Potente invece è Cristo Crocifisso nella Sua obbedienza al Padre. Incrollabile è la Sua decisione, senza limiti la Sua fedeltà. Per questo, alla fine, contro di Lui il mondo non può nulla. Infatti Gesù non indietreggia ma, come ci ha detto la Prima Lettura, va verso l’estremo sacrificio con sovrana libertà: «… non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50,5-6). Non lo piegano l’insolenza dei soldati, la fuga dei discepoli, la perfidia dei sacerdoti, il coalizzarsi complice dei potenti: «In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia» (Lc 23,12).

Nulla dimostra l’onnipotenza di Dio come il forte abbandono di Cristo durante la sua passione. Potente infatti in Gesù è l’amore, cioè il dono totale di Sé dell’Uomo della croce, deriso, umiliato, incoronato di spine, flagellato, messo a morte barbaramente.

3. «… facendosi obbediente fino alla morte» (Fil 2,7-8), così ha proclamato la Seconda Lettura. Per obbedienza al disegno del Padre Cristo assunse la carne dell’uomo con tutto ciò che la costituisce, tranne il peccato (che è, appunto, la disobbedienza). Il segreto della sua singolare potenza è quindi la Sua obbedienza, cioè la Sua relazione di Figlio con il Padre.

Guardando al rapporto di Gesù con il Padre, anche noi uomini post-moderni possiamo imparare molto.

Ogni “potere” umano prende avvio, ultimamente, proprio dal nostro essere figli, dalle relazioni primarie con la madre ed il padre. Una madre che sorride al figlio e in tal modo lo “riconosce” come un bene, esercita un potere su di lui. Ed il figlio fa altrettanto su di lei. Ognuno di noi, di fatto, esercita in molti modi questo potere di riconoscimento ed è a sua volta, nello stesso tempo, oggetto di un tale potere. Si tratta di un vincolo tra soggetti, che non può essere in alcun modo aggirato, perché costitutivo delle relazioni in cui è sempre inserita ogni persona umana. L’io è per sua natura in relazione.

Esercitando un potere di riconoscimento, si esercita di fatto anche un potere di autorità. La vera autorità, pertanto, oggi troppo spesso sentita solo come un giogo esteriore, è invece esigita come vincolo interno al dinamismo della stessa libertà che non perde per questo la sua sovranità. Ma Gesù, il potente protagonista della Settimana Santa, ci insegna che la logica del giusto potere può essere solo la logica dell’amore che giunge fino al supremo sacrificio. Qui riceve la sua luce autentica anche una parola che spesso evoca immagini sgradevoli di sottomissione: la parola servizio. «Egli disse: “I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori”. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,25-27). Riscoprire il fascino che scaturisce dal potere di servire: di questo hanno bisogno gli uomini e le donne di oggi. In casa, nelle comunità cristiane, nella società civile, nella politica.

4. Nel Passio di Luca la potenza amorosa della relazione di Gesù con il Padre resta in primo piano anche nelle ore drammatiche e buie della crocifissione e della morte. Il terribile grido dell’abbandono di Matteo e Marco in Luca si fa estremo, confidente affidamento: «Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”» (Lc 23,46). Qualcosa della grazia che sgorga dall’estrema consegna del Suo amore passa nella preghiera del buon ladrone: «“Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno”» (Lc 23,42). Attraverso le parole del buon ladrone anche noi troviamo una speranza affidabile, come ci ricorda il profondo inno eucaristico Adoro te devote: «peto quod petivit latro poenitur» (invoco ciò che invocò il ladrone pentito). E, dopo la Sua morte, nel centurione e nella folla presente sul Calvario: «Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: “Veramente quest’uomo era giusto”. Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto» (Lc 23,47-48).

5. Il Signore Gesù ha fatto della supplica al Padre la preparazione all’ora tremenda del Venerdì Santo. E questa supplica l’ha più volte raccomandata ai suoi, in quelle ore drammatiche. «Pregate, per non entrare in tentazione» (Lc 22,40); «Cadde in ginocchio e pregava» (Lc 22,41); «Entrato nella lotta, pregava più intensamente» (Lc 22,44).

Viviamo quindi lo svolgersi della Settimana Santa, che la Chiesa ci propone come figura del percorso della nostra vita, in questo spirito di supplica, ad imitazione del Testimone fedele. La preghiera, infatti, mantiene intatto e indistruttibile il legame che ci evita la grande tentazione. «C’è un abisso tra sapere e fare, tra sapere la morte (la propria morte) e passarvi… Vedete cosa è la nostra carne e la nostra tentazione. Bisogna vegliare. Bisogna pregare» (C. Péguy, Getsemani). La preghiera è l’àncora che ci tiene saldamente uniti a Lui, perché Lui è il testimone fedele.

Seguendo a passo a passo le azioni liturgiche di questa Santa Settimana faremo l’esperienza della misericordia, tanto a noi impossibile quanto profondamente esigita dal nostro cuore. Come la fece Pietro: «Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro e Pietro… uscito fuori, pianse amaramente» (Lc 22,61-62); o come la fece il buon ladrone: «Gli rispose: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”» (Lc 23, 42-43). Amen