Da più parti c’è la tentazione di rinunciare al compito educativo. Da che cosa deriva questa sfiducia che sovente attanaglia gli educatori?

La sfiducia deriva da un dato di fatto ben illustrato da un’affermazione di Péguy: «Le crisi dell’insegnamento non sono crisi di insegnamento; denunciano, rappresentano crisi di vita e sono crisi di vita esse stesse». Intendo dire che non esiste mai, propriamente parlando, una crisi di educazione, una crisi “educativa”, ma appunto una crisi di vita: dove non esiste una vita adeguata non si può comunicare nulla, non si può insegnare nulla ai giovani

In una scuola in crisi, come quella di oggi, che ruolo ha l’insegnante?

L’insegnante ha un ruolo decisivo perché il fenomeno educativo ha come attori principali gli adulti: tocca a loro comunicare.
L’insegnante, in particolare, è una figura di riferimento all’interno della realtà scolastica, che ha per un giovane lo stesso peso della realtà lavorativa per un adulto: genera l’ambiente al quale il ragazzo e la ragazza dedicano molto tempo e dal quale assorbono moltissimo. Perciò il compito fondamentale dell’insegnante è quello di saper far trasparire dall’interno della sua competenza specifica il senso globale della vita.

La scuola cattolica è sovente al centro dell’attenzione del mondo sociale e politico. Che compito ha oggi questa istituzione?

La scuola cattolica ha un compito pubblico di primaria importanza, in quanto innanzitutto essa afferma il principio irrinunciabile della libertà di educazione.
Ma questo lo deve attuare documentando di essere un luogo che non solo tendenzialmente offre garanzia e sicurezza ai genitori, ma che soprattutto manifesta e dimostra la fecondità del riferimento alla fede in Gesù Cristo come criterio per imparare i diversi saperi, mantenuti nella loro autonomia di contenuti e di metodo.

Per una comunità cristiana che cosa vuol dire, nella concretezza, educare?

Educare vuol dire riprendere e fare eco al grande invito di Gesù: «Vieni e vedi».
Vuol dire essere il luogo di chi, avendo in comune Gesù Cristo morto e risorto, veramente documenta nella vita quotidiana, soprattutto negli affetti e nel lavoro, la bellezza e lo splendore di questa appartenenza.
Così facendo, come avviene da duemila anni a oggi, e nonostante tante contraddizioni, essa, comunica ciò che ha ricevuto, come dice S. Paolo parlando dell’Eucaristia: «Vi trasmetto quello che a mia volta ho ricevuto».
La comunità cristiana è un luogo vitale, aperto a 360°, nel quale la catena delle generazioni continuamente cresce.

Dalla comunità al mondo. Come si può essere testimoni credibili?

Si è testimoni credibili solo a una condizione: se si lascia emergere con naturalezza e spontaneità dalla gratitudine per il dono della fede e dell’appartenenza cristiana che si è ricevuto, un gratuito abbraccio verso tutti i nostri fratelli uomini, a partire dai loro bisogni più radicali.

Susanna Peraldo, Il Biellese, 16 maggio 2009