Proponiamo di seguito l’intervista rilasciata dal cardinale Scola a Domenico Agasso jr, pubblicata sul quotidiano La Stampa il 23 aprile 2020, in occasione della pubblicazione dell’ebook dal titolo L’esperienza della solitudine, pubblicato dal cardinale in data odierna per la casa editrice Piemme.


«Relazioni buone e amicizia civica sono i pilastri portanti di una ripartenza dopo la pandemia». Scienza e tecnologie dovranno aiutare lavorando «con maggiore umiltà, riconoscendo che non tutto è dominabile dalle pur spettacolari scoperte scientifiche», e senza mai dimenticare «il senso della vita». Economia, finanza e politica saranno chiamate a «rimettere al centro la persona, con una speciale attenzione ai poveri». A cominciare da «anziani e migranti, accomunati da una fragilità che può facilmente renderli vittime di quella che il Papa chiama “la cultura dello scarto”». Dopo essere stato patriarca di Venezia e arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola a 78 anni vive «contento di poter fare il prete» a Imberido, frazione di Oggiono, in provincia di Lecco. Siamo nei luoghi manzoniani, vicini a «Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi». Sono le terre della sua infanzia. Oggi questa regione è epicentro del virus che ha messo in ginocchio il Pianeta. Così, mentre tutti «viviamo l’esperienza dell’isolamento e della paura», il porporato diffonde un invito a «ritrovare in noi e nelle relazioni che segnano la nostra vita gli esempi di carità e di prossimità».

Da questa volontà nasce l’ebook «L’esperienza della solitudine. L’uomo vive come relazione o non vive» (per la serie di “instant ebook” di Edizioni Piemme).

Eminenza, Lei vive in Lombardia, la regione più flagellata dal coronavirus. Che cosa l’ha più colpita e inquietata tra i tanti drammi provocati dal Covid-19?

«Il fatto che questo flagello colpisce le persone non solo nel loro corpo, ma anche nella loro dimensione spirituale, cioè nel loro essere un io-in-relazione (con se stessi, con gli altri e con Dio). Inevitabilmente questo stato di cose genera solitudine».

Ma è vero che la pandemia è una punizione divina?

«In Cristo è diventato a tutti evidente quanto il Padre ci ami. Gesù è la misericordia vivente e personale che vuol sconfiggere ogni solitudine. Non dimentichiamo che pur non avendo mai compiuto peccato Egli ha preso su di sé i peccati di tutti inchiodandoli alla sua croce».

Non è però che Dio si è dimenticato di noi? Come può aiutarci Dio?

«Dio non si dimentica mai dei suoi figli. Lo mostra in Cristo Gesù che ha sfidato la morte per amor nostro. Inoltre anche tutte le grandi religioni, nelle loro pur sostanziali diversità, mettono a tema la consolazione che apre alla speranza».

«Quali strascichi e quali insegnamenti può lasciarci “L’esperienza della solitudine”, che è il titolo del suo ebook in uscita?

«Ovviamente dipende da come la si vive. E questo a sua volta consegue al senso che noi diamo alla nostra vita. Chi si apre al mistero di Dio ha mille occasioni per trarre guadagno anche dalla solitudine. Tante persone in tanti modi ce lo hanno testimoniato in questa tragica occasione. Nel mio ebook racconto l’esperienza di taluni».

Lei condivide la decisione di celebrare le messe “a porte chiuse”?

«Mi hanno impressionato le potenti immagini di Papa Francesco che la sera di venerdì 27 marzo attraversa, solo e sotto una pioggia battente, Piazza San Pietro deserta per affidare tutta l’umanità al Crocifisso e al cuore della Vergine. Trasforma una necessità di prudenza in un’occasione di preghiera che ha la forza di coinvolgere milioni di persone. Ma è lo stesso Papa ad affermare con forza che alla vita della Chiesa è necessaria la presenza del popolo».

“L’uomo vive come relazione o non vive”, è il sottotitolo del Suo libro: come va concretizzato questo pensiero nella vita quotidiana? Perché nel libro ne parla legandolo alla “peste di san Carlo” del 1576?

«Mi sono domandato perché una peste tremenda che ha falciato un’enorme quantità di persone sia passata alla storia con la denominazione di “peste di San Carlo”. Ovviamente perché il Santo si è coinvolto in prima persona con tutto il popolo milanese pagando, alla fine, con la vita. Ha documentato che la relazione è costitutiva dell’io. Come anche oggi molti ci testimoniano. Penso alla dedizione dei medici e di tutti gli operatori sanitari, dei sacerdoti e dei volontari. Non pochi tra questi hanno dato la vita».

Perché nel libro associa gli anziani e i migranti?

«È evidente che, pur trattandosi di situazioni diverse, anziani e migranti sono accomunati da un’esperienza di fragilità che può facilmente renderli vittime di quella che il Papa chiama “la cultura dello scarto”».

In questi giorni si parla di “fase 2” e “fase 3”. «Quanto sta avvenendo dovrebbe aprire una riflessione su che tipo di relazione si ha con se stessi e con gli altri, sul tipo di società in cui si desidera vivere», Lei scrive. Da che cosa bisogna ripartire, su quali “pilastri” sociali, economici e politici occorrerà ricostruire?

«Relazioni buone e amicizia civica sono i pilastri portanti di una ripartenza. L’azione sociale, l’economia e la finanza e, per finire, la politica, dovranno ripensarsi rimettendo al centro la persona e i corpi intermedi con una speciale attenzione ai poveri e agli emarginati».

Quale ruolo dovranno avere scienza e tecnologia?

«Quello di pensarsi con maggior umiltà, cioè riconoscendo che nelle vicende umane non tutto è dominabile dalle pur spettacolari scoperte scientifiche e dalle loro applicazioni. Ma qui torniamo alla questione del senso ultimo del vivere a cui gli uomini della scienza e della tecnologia non possono evitare di far riferimento».