Il dolore dell’uomo e l’opera del Redentore: riportiamo qui il commento di Mons. Angelo Bazzari, presidente della Fondazione don Gnocchi, al discorso del Redentore del Patriarca.
La Fondazione don Gnocchi è nata dall’ opera di Don Carlo Gnocchi nell’Ottobre 1945 occupandosi dell’accoglienza ai bambini mutilati, oggi affronta quotidianamente situazioni di dolore e di sofferenza, con l’aiuto di 4700 operatori suddivisi in 28 centri sparsi in 9 regiorni italiane, ora si occupa di persone disagiate, portatori di handicap, malati terminali..
(testo non rivisto dall’autore)
“Noi siamo gli eredi e continuatori di don Gnocchi che ha studiato all’Università del dolore quando ha visto infrangersi i sogni dei giovani e ha visto incenerisi, bruciarsi i loro progetti nelle steppe russe, nell’inferno bianco, e una volta tornato a casa ha dato una risposta positiva e di speranza a questo dolore, inventato il laboratorio della carità; perchè come scrive «il dolore è un figlio dell’abbandono e della solitudine»; da qui la necessità di costruire il futuro dell’Uomo rispondendo con la speranza, e ha iniziato con i bambini, i mutilatini: da qui è partita tutta la sua opera coinvolgendo civili e religiosi ai più vari livelli..
Noi ci siamo collocati sulla stessa linea, tentando più di contrapporsi al dolore partendo dal valore della vita e di insediarsi sulle frontiere dell’esistenza che oggi stanno assumendo caratteristiche particolari, un po’ per la scienza e lo sviluppo tecnologico si imprime un ritmo di deliro di onnipotenza e si fa fatica ad accettare questo limite; con uesta filosofia abbiamo tentato di spingere la Fondazione oltre gli anni ’50, scegliendo la frontiera dei più fragili, considerando lo stato vegetativo esattamente come il paletto di confine più lungo della disabilità e non tanto quindi una malattia, ecco gli sforzi di questa imponente impresa che tenta di stare vicina ai nostri malati.
C’è proprio un cambiamento di approccio, perchè per noi lo stato vegetativo è visto come una disabilità, quindi se riteniamo che i confini della vita non sono solo quelli fisici ma che la dignita è il fatto costitutivo di ogni persona, che la qualità dell’esistenza è un’ opera convergente di tutti gli sforzi dell’intelligienza umana, della teconlogia; ma soprattutto dell’amore allora noi con queste convinzioni cerchiamo di dare risposte affrontando assieme alle famiglie questi casi limite, perchè comprendere il significato e accompagnare queste situazioni vuol dire dare una risposta di condivisione, l’unica risposta che noi vediamo al dolore fisico, alla sofferenza psichica è condividere, stare dentro la vita: il cuore della questione è recepire il messaggio di vita e non farne tanto un problema di anticipazione o contenim ento dell’aggressione della morte, quanto di estensione del paletto di confine della vita.
«Noi siamo ospitati dalla vita» ripeteva don Gnocchi: per noi quindi più ci sono fragilità, debolezze, precarietà, più l’amore umano va esteso, cercando non tanto aggredire le questioni e gli interrogativi angosciosi che si presentano in queste situazioni (contenendo accanimento terapeutico, sospendendo le cure, parlando di eutanasia..), cercando di affrontare la vita con decisioni di morte; per noi è la qualità della vita che si innesta su questa dignità che abbiamo tutti, per noi il protagonista diventa l’amore. Ai nostri professionisti che si prendono cura e assistono i sofferenti diciamo che ci vuole certo tanta professionalità ma soprattutto serve tanta capacità di comunicazione con linguaggio dell’amore, imparando la grammatica del Vangelo e la capacità di colloquiare e lavorare assieme, con multidisciplinareità, donando e ricevendo la Vita: così si può essere innestati sulla solideraietà che si esprime con vicinanza, prossimità e solidiarietà. In questo modo vediamo tradursi in realtà concreta due immagini: quella cristiana del buon samaritano, e quella classica di Enea che prende sulle proprie spalle il vecchio padre e per mano il figlio saldando insieme passato e futuro.”