UNIVERSITA’ CATTOLICA DI LUBLINO – Giovedì 9 dicembre 2010 al card. Angelo Scola, Patriarca di Venezia, è stato conferito il titolo di Dottore Honoris Causa dall’Università cattolica “Giovanni Paolo II” di Lublino. La cerimonia, tenutasi presso l’aula Stefan Wyszyński della stessa Università, è stata aperta dal saluto del rettore rev. prof. Stanisalw Wilk, cui hanno seguito la lettura della delibera del Senato e la laudatio dell’arcivescovo di Lublino, mons. prof. Józef Zyciński. A conclusione, la lectio magistralis del Patriarca, card. Angelo Scola, sul tema: “Dio si è reso familiare. L’insegnamento di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II e l’uomo postmoderno”.
Qui di seguito il testo della lectio magistralis pronunciata dal Patriarca:
1. La “pretesa” del mondo contemporaneo
Testimone dell’epoca tragica delle grandi ideologie, dei regimi totalitari e del loro crollo, Giovanni Paolo II ha avuto una profonda coscienza della transizione dalla modernità a quella che si è ormai convenuto di chiamare la post-modernità. Egli ha colto in anticipo l’ingresso dell’umanità in una fase di forte travaglio segnata da nuove tensioni e contraddizioni.
a) La fede: un’opzione tra le altre?
La prima di queste tensioni si colloca proprio nella attuale fase della parabola del processo di secolarizzazione. Se la cifra sintetica della modernità ha avuto la sua punta espressiva in alcuni teorici di un ateismo radicale e militante, la post-modernità pare invece contraddistinta da un’attitudine meno agguerrita, ma forse assai più provocatoria nei confronti della religione.
Come afferma Taylor, «siamo passati da una società in cui era “virtualmente impossibile” non credere in Dio, ad una in cui anche per il credente più devoto questa è solo una possibilità umana tra le altre»[1]. Ciò non implica una scomparsa del religioso. Anzi, proprio nell’odierna fase di secolarizzazione avanzata, assistiamo a un “ritorno del sacro”, che, pur aprendo nuove prospettive, «non è privo di ambiguità»[2], come riconosceva lo stesso Giovanni Paolo II. La tendenza attuale attesta di fatto il permanere di un disincanto universale in cui la fede cristiana, ritenuta da molti pura convinzione soggettiva e non razionalmente documentabile, sarebbe tutt’al più legittimata a sopravvivere accanto alle altre espressioni religiose, in nome di un diritto universale alla differenza. Mediante un’applicazione scorretta del principio di uguaglianza si giunge infatti a sostenere che le religioni sono “tutte diverse e tutte uguali”.
b) L’uomo contemporaneo:solo il suo proprio esperimento?
L’oggettività che la cultura odierna nega alla fede, e veniamo così a una seconda “pretesa” del mondo contemporaneo, finisce per essere riconosciuta alla scienza sperimentale, cui sola spetterebbe se non una definizione di certo una descrizione compiuta dell’uomo. Si diffonde sempre più infatti, soprattutto in forza delle strabilianti scoperte nel campo della biologia, della bio-chimica e delle neuroscienze, una vulgata di timbro scientista che tende a ricondurre tutte le espressioni e le facoltà dell’umano a pure attività cerebrali. Queste in prospettiva potrebbero, si afferma, diventare addirittura artificiali. In questo senso non sarebbe più possibile, a rigore, parlare di un soggetto personale, dotato di una dignità intrinseca, portatore di diritti e di doveri, ma l’uomo non sarebbe altro che «il suo proprio esperimento»[3].
2. Cristo centro del cosmo e della storia: figura compiuta dell’uomo postmoderno?
Le problematiche, troppo sinteticamente richiamate, impongono alla fede cristiana una svolta cruciale. A ben vedere, quella che alla fine dell’epoca moderna, che discettava di morte di Dio e del soggetto, era la domanda corrente: “Esiste Dio?” assume, nella post-modernità, un’altra, forse più stringente, formulazione: “Come nominare Dio oggi[4], come narrare di Lui comunicandolo come Dio vivo all’uomo reale”?
Nell’ottica cristiana Dio è Colui che viene nel mondo e perciò si distingue da esso senza che questo escluda la possibilità di coglierlo come familiare. Per parlare di Dio «si deve azzardare l’ipotesi che sia Dio stesso ad abilitare l’uomo a divenirgli familiare. La fede cristiana vive anche dell’esperienza di Dio che si è fatto conoscere e si è reso familiare»[5]. È necessario stabilire prima la familiarità con Dio perché Dio sia conosciuto. Allora «Dio diventa una scoperta, che insegna a vedere tutto con occhi nuovi»[6].
La riflessione di Karol Woityla, alla luce del magistero soprattutto trinitario di Giovanni Paolo II, offre una risposta persuasiva a questo interrogativo, mostrando in tal modo la forza profetica del suo pensiero e, quindi, la sua attualità.
A. Chiavi metodologiche
Per incontrare Dio l’uomo postmoderno dovrà cercarlo sulle vie lungo le quali Dio si attesta all’enigma-uomo (l’uomo è un essere che esiste ma non ha in sé il principio della propria esistenza), continuando a rendersi a noi familiare.
La riflessione e l’insegnamento di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II ne indicano almeno tre.
1) La comune esperienza umana
La prima via è la stessa esperienza comune dell’uomo. Anche tenendo conto di tutte le obiezioni che scaturiscono dalla complessità di vita propria dell’uomo post-moderno, si deve concludere con Karol Wojtyła: «Eppure esiste qualcosa che può essere chiamato esperienza comune dell’uomo», di ciascun uomo. Essa ne attesta anzitutto l’integralità (il reale è intelligibile e l’uomo può ospitarlo) e l’elementarità (ogni uomo conviene con tutti gli altri nel vivere affetti, lavoro e riposo), vale a dire la sua indistruttibile semplicità. Nota ancora Wojtyla: «Questa esperienza nella sua sostanziale semplicità supera qualunque incommensurabilità e qualunque complessità»[7].
2) La persona in relazione. L’uomo-donna
La seconda via passa per la struttura originaria dell’uomo nelle sue tre polarità costitutive che individuano l’unità duale dell’io. È il dato antropologico essenziale che vede l’uomo uno nella dualità di anima-corpo, di uomo-donna e di individuo-società. Voglio in particolare ricordare la centralità, nell’indagine e nel magistero di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II, del tema dell’uomo-donna e del mistero nuziale[8]. L’uomo, ci ha insegnato il Papa sulla base di quanto contenuto nei racconti genesiaci della creazione, non può esistere solo, ma «soltanto come unità dei due, e perciò in relazione ad un’altra persona umana[9]. Egli è costitutivamente aperto all’altro. L’essere umano infatti non è solo individuo (identità), ma anche persona (relazione/differenza) capace di autotrascendersi. Questo elemento antropologico originario riceve un’adeguata spiegazione alla luce della Rivelazione. Da un lato, esso si pone infatti in analogia con l’incontro, in chiave nuziale, tra Dio e l’umanità e dall’altro, come Giovanni Paolo II ha genialmente intuito, reca l’impronta della comunione trinitaria[10].
3) Il dolore salvifico
La terza via che sostiene l’insopprimibile desiderio umano di Dio nella scoperta del Suo essere a noi familiare è la domanda circa la fragilità e, soprattutto, circa il male, il dolore e la sofferenza. In molti pronunciamenti, e soprattutto nella Lettera apostolica Salvifici doloris, Giovanni Paolo II ha mostrato che l’esperienza umana della fragilità, della sofferenza e del male non può essere separata dalla domanda di salvezza e di redenzione. La risposta a questa domanda può essere almeno intravista nell’atteggiamento umano del dono totale di sé, cioè dell’offerta: «il dolore si scioglie in un amore riconoscente»[11], scriveva negli anni di prigionia il Cardinal Wyszynsky. Se la vita ci è data, allora essa si può compiere solo nel dono. La controprova sta nel fatto che se non la doni, la vita ti è rubata dal tempo.
B. Cristo, nostro contemporaneo
Si può mostrare, anche se questa non è la sede opportuna[12], che le tre chiavi metodologiche suggerite forniscono a Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II una base filosofica sufficientemente solida per reggere alle obiezioni che il pensiero contemporaneo ha rivolto alla metafisica e alla ontologia. Fanno di lui un pensatore al passo con i filosofi contemporanei.
È così possibile mostrare, in modo fondato, come la proposta di Dio formulata da Giovanni Paolo II, soprattutto nelle tre encicliche trinitarie, risponde al desiderio di Dio, insopprimibile anche quando viene sepolto sotto le macerie dell’odierno clima nichilistico, dell’uomo postmoderno.
La via maestra scelta dal papa polacco è quella della contemporaneità di Gesù Cristo.
a) Redemptor hominis
Sin dall’inizio del suo pontificato, Giovanni Paolo II ha formulato con forza una decisiva lettura del Concilio Vaticano II basata sull’icastica affermazione: «Redentore dell’uomo, Cristo è il centro del cosmo e della storia»[13]. Con l’enciclica Redemptor hominis egli propone programmaticamente la prospettiva cristocentrica per permettere una comprensione esatta del nucleo costitutivo dell’esperienza cristiana, intesa come pienezza dell’esperienza comune, integrale ed elementare dell’uomo.
L’affermazione iniziale è ulteriormente approfondita dai paragrafi 6-9, che sostengono non solo il primato di Cristo redentore, ma il primato di Cristo tout court. Cristo è il Capo per mezzo del quale esistono tutte le cose. In Lui, l’uomo è pensato, voluto e creato e non solo redento. «In Lui – continua l’enciclica – si è rivelata in modo nuovo e più mirabile la fondamentale verità della creazione»[14]. Il Papa riprende a questo punto il passo di Gaudium et Spes 22 che ha ispirato tutta la sua vita di uomo e di sacerdote: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» per proseguire affermando, con geniale sintesi, che «la redenzione del mondo […] è, nella sua più profonda radice, la pienezza della giustizia in un Cuore umano: nel Cuore del Figlio primogenito, perché essa possa diventare giustizia dei cuori di molti uomini, i quali proprio nel Figlio primogenito sono stati, fin dall’eternità, predestinati a divenire figli di Dio [ecco l’affermazione decisiva] e chiamati alla grazia, chiamati all’amore»[15]. I passaggi culminano nell’affermazione capitale: «Questa rivelazione dell’amore viene anche definita misericordia, e tale rivelazione dell’amore e della misericordia ha nella storia dell’uomo una forma ed un nome: si chiama Gesù Cristo»[16]. Giovanni Paolo II ci guida in questo modo nel passaggio da Gesù al Padre, attraverso la strada che Cristo stesso ci ha mostrato per rivelarci la Trinità: da Gesù al Padre nello Spirito.
b. Dives in misericordia
Questo tema viene ulteriormente indagato nella seconda enciclica del trittico trinitario: Dives in Misericordia, che, approfondendo il cristocentrismo, scardina la falsa contrapposizione tra teocentrismo e antropocentrismo proposta da «varie correnti del pensiero umano»[17]. Ciò è possibile perché Gesù, la misericordia incarnata, rivelando Dio nell’impenetrabile mistero del Suo essere, ne mostra anche chiaramente l’amore per l’uomo. È nell’orizzonte del Logos-Amore, come non cessa anche oggi di affermare Benedetto XVI, che il desiderio di Dio incontra un’adeguata risposta. In questo Dio infatti, la ragione, intesa secondo tutta la sua ampiezza, la fede e la vera religione, scoprono il loro nesso profondo e fecondo[18]. Il manifestarsi della misericordia del Padre in Cristo spiega il senso esatto del mistero della creazione, consentendo anche di lumeggiare il mistero dell’elezione di ogni uomo[19] in Gesù Cristo.
c. Dominum et vivificantem
Il percorso che dall’evento Gesù Cristo conduce alla vita intima della Trinità si completa nella terza enciclica trinitaria di Giovanni Paolo II, la Dominum et vivificantem, in cui è descritto il dialogo vitale che lo Spirito consente tra la Trinità e l’uomo. Questa enciclica mostra la portata estrema della pretesa di Gesù Cristo, descritto come immagine perfetta del Padre e quindi come la figura (forma, Gestalt, silhouette) dell’uomo, perché questi, a sua volta, è creato a immagine di Dio. Per la grazia dello Spirito, l’uomo scopre «in se stesso l’appartenenza a Cristo»[20] e attraverso questa appartenenza comprende meglio il senso della sua dignità.
3. Interesse per Cristo, interesse per l’uomo
In che modo allora la centralità storica e cosmica di Cristo alfa e omega[21] può ancora incontrare l’interesse dell’uomo odierno? Cosa offre Cristo alla sua ragione iper-esigente e alla sua libertà spesso insoddisfatta? Gli offre una risposta esauriente all’enigma da cui è costituito senza annullarne la libertà dal momento che Cristo non pre-decide il dramma del singolo. Secondo la riflessione teologica sulla singolarità di Gesù Cristo, oggi proposta con buoni argomenti dalla teologia, il Figlio di Dio incarnato, rivelandosi ad un tempo non solo come redentore universale ma anche come capo della creazione, si attesta come l’Evento che spiega l’uomo all’uomo. In tale Evento la libertà infinita del Deus Trinitas si piega, attraverso il Logos-Amore, sulla libertà finita dell’uomo, liberandola. La Cristologia non surroga l’antropologia e quest’ultima può fare alla prima tutto il suo indispensabile spazio.
L’affermazione di Cristo, nostro contemporaneo, come attestazione della possibilità di nominare Dio oggi, presuppone una lettura della sua Persona in quanto Persona salvifica, come emerge dal trittico trinitario di Giovanni Paolo II. Una lettura siffatta permette di rendere conto dell’interesse per la sua venuta nel mondo. Nella persona storica di Gesù Cristo si trovano veramente unificate e proiettate, nell’escatologia del mondo nuovo/cieli nuovi, tutte le dimensioni antropologiche.
Emerge così anche l’interesse per l’uomo nuovo senza il quale l’interesse per Cristo è nominale e, nello stesso tempo, si evidenzia l’interesse per Cristo senza il quale l’interesse per l’uomo resta ultimamente vuoto.
La questione dell’interesse per, che riprende il tema della con-venientia di Tommaso, è pedagogicamente assai attuale e quindi decisiva per la nuova evangelizzazione. A mio giudizio, tuttavia, essa è sempre meno proposta, per cui si rischia di non vederne né la preziosità, né l’impegno che richiede alla fede. La testimonianza, la riflessione ed il magistero di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II non cessano però di ricordarci che di questo interesse per la sua persona ha soprattutto bisogno l’uomo postmoderno.
Note: [1] C. Taylor, L’età secolare, Feltrinelli, Milano 2009, 14. Sul significato della religione nell’epoca moderna secondo il filosofo e sociologo canadese si veda anche il suo C. Taylor, La modernità della religione, a cura di P. Costa, Meltemi, Roma 2004. Per una presentazione della sua posizione vedi G. Brena, La modernità della Religione, in La Civiltà Cattolica 2004, III, 381-393 e A. Russo, Abitare il pluriverso. L’ultima sfida alle religioni, in Rassegna di Teologia 45 (2004) 833-854. [2] Giovanni Paolo II, Redemptoris missio 38. [3] M. Jongen, Der Mensch ist sein eigenes Experiment, «Feuilleton. Die Zeit», 9 agosto 2001, 31. [4] P. Sequeri, Una svolta affettiva per la metafisica, in P. Sequeri-S. Ubbiali (ed), op. cit., 85-116; B. Schellenberger, Von Unsagbaren reden: wie lässt sich heute Gott zu Sprache bringen?, Geist und Leben 79 (2006) 81-88; A. Kreiner, Das wahre Antlitz Gottes – Oder was wir meinen, wenn wir Gott sagen, Herder Freiburg-Basel-Wien, 2006. [5] E. Jüngel, Verità metaforica, in P. Ricoeur-E. Jüngel, Dire Dio. Per un’ermeneutica del linguaggio religioso (a cura di G. Grampa), Queriniana, Brescia 1978, 169. [6] Ibid. [7] K. Wojtyla, Persona e atto, a cura di G. Reale e T. Styczeń, Rusconi, Sant’Arcangelo di Romagna 1999, 45. Cfr. A. Scola, L’esperienza elementare. La vena profonda del magistero di Giovanni Paolo II, Marietti 1820, Genova-Milano 2003. [8] Cfr. A. Scola, Il mistero nuziale 1. Uomo-donna, Lateran University Press, Roma 2005. [9] Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem 7. [10] Ibid. [11] S. Wyszynski, Appunti dalla prigione, 18 gennaio 1954, CSEO biblioteca, Bologna 1983, 59. [12] A. Scola, L’esperienza elementare…, cit., 21-59. [13] Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 1. [14] Ibid. 8 [15] Ibid. 9 [16] Ibid. [17] Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia 1. [18] Cfr. Benedetto XVI, Discorso al Convegno della Chiesa Italiana, 19 ottobre 2006. [19] Cfr. Giovanni Paolo II, Dives in misericordia 4. [20] Ibid. [21] Cfr. H.U. Von Balthasar, Uno sguardo d’insieme al mio pensiero, «Communio. Rivista internazionale di Teologia e Cultura», 105 (1989), 39-44.