DUE NUOVI DIACONI – Domenica 24 ottobre nel pomeriggio nella Basilica Patriarcale di S. Marco il Patriarca ha ordinato diaconi due giovani, Lorenzo de Lazzari e Valentino Cagnin. Qui è disponibile il testo integrale della sua omelia:

Carissimi Lorenzo e Valentino,

la Basilica Cattedrale vi accoglie nei Secondi Vesperi di questa domenica con la presenza speciale di presbiteri e membri del popolo di Dio, tra cui spicca la Comunità del Seminario guidata dal Rettore, oltre alle parrocchie di provenienza, quelle con cui avete collaborato in questi anni, quella di San Lorenzo, nonché la Comunità pastorale del Lido – ed in modo speciale la parrocchia di Sant’Ignazio – cui siete stati inviati per esercitare un anno di ministero diaconale.

Con il Vescovo Ausiliare e con il capitolo della Cattedrale il Patriarca saluta tutti di vero cuore, in particolare i familiari. 

1. Fra poco, tramite l’imposizione delle mani da parte del Patriarca, riceverete l’ordine del diaconato. «Fortificati dal dono dello Spirito Santo» sarete «di aiuto al vescovo e al suo presbiterio nel ministero della parola, dell’altare e della carità» mettendovi «al servizio di tutti i fratelli» (Rito dell’Ordinazione dei diaconi). Un passaggio decisivo del Rito sarà quello della consegna del Vangelo. Affidandovelo il Patriarca pronuncerà le seguenti preziose parole: «Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunziatore: credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni». Questa formula, a ben vedere, concentra in sé non solo il valore di questo duplice prezioso gesto sacramentale, ma offre la direzione al cammino della vostra vita, tesa al ministero sacerdotale nella Chiesa di Venezia. Cerchiamo di approfondirla un poco, tutti insieme, con l’aiuto delle Letture appena proclamate. 

2. «La preghiera del povero attraversa le nubi» (Sir 35,21). «Io mi glorio nel Signore, ascoltino gli umili e si rallegrino» (ritornello del Salmo responsoriale).

L’umiltà/povertà dello spirito è la posizione vera, pienamente umana. Dice la relazione buona dell’uomo con Dio, con se stesso e con gli altri. L’umiltà/povertà dello spirito è la posizione dell’uomo che appartiene. Per poter dire chi sono, infatti, devo dire di chi sono e da chi vado. Appartenere al Dio di Gesù Cristo vuol dire concepirsi lungo tutta l’esistenza nella sequela del nostro Redentore. Non confidare nella propria forza, ma in quella di Dio: «Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza» (2Tm 4,17).

Povero è Paolo in prigione, abbandonato da tutti: la sua unica ricchezza è il Signore. Povero è il pubblicano. Egli che, in quanto tale, sarebbe odiosamente ricco – come Zaccheo o come Matteo -, non trova in sé nient’altro che peccati ed implora la salvezza dall’Unico che può donargliela: «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Lc 18,13).

Il fariseo, invece, basta a se stesso. Non appartiene se non a sé ed usa Dio come specchio per il suo orgoglio. Non ha bisogno di Dio né degli altri: li misura fino al disprezzo.

Diaconia, il servizio a cui voi siete ora specialmente chiamati, resterebbe una parola vuota senza il quotidiano approfondirsi della vostra appartenenza al Signore Gesù. Per questo noi tutti, che questa sera vi facciamo corona colmi di un sincero affetto di comunione, vi assicuriamo il nostro personale impegno ad imparare il Tu di Cristo. 

3. Perché, carissimi, vi invito a radicare il vostro diaconato nell’appartenenza vitale a Gesù? Perché ogni servizio, ed in special modo quello che scaturisce dal sacramento, è tale se, partendo dal bisogno dell’altro lo sollecita a crescere nell’ordine che il disegno del Padre celeste ha su di lui:Egli ci vuole Suoi figli nel Figlio. Questo è l’unico ordine giusto che conduce al compimento della persona. «Il Signore è giudice» (Sir 35,15); «il Signore, il giudice giusto» (2Tm 4,8). La giustizia, quella piena, non è opera dell’uomo. Giusto è il Signore, l’uomo può essere solo giustificato, reso giusto da Lui. Il pubblicano «tornò a casa sua giustificato» (Lc 18,14); Paolo riceve la corona di giustizia, non però quella della giustizia umana che, anzi, si rivela assai ingiusta verso l’apostolo, ma quella della giustizia di Dio: «Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore mi consegnerà» (2Tm 4, 8).

Moralità non è anzitutto la conformità alla legge, cosa che resta essenziale, ma l’assetto giusto davanti a Dio, a se stessi e agli altri. Gesù non critica l’impegno ascetico del fariseo, ma la sua autosufficienza rispetto a Dio e agli altri. Da questa tentazione nessuno di noi è immune. Da qui la preziosità per il cristiano del Sacramento della Penitenza a cui vi raccomando di essere fedeli come avete imparato in Seminario. Di esso ha appena scritto il Santo Padre, proprio rivolgendosi ai seminaristi, nella sua recentissima Lettera: «Anche il sacramento della Penitenza è importante. Mi insegna a guardarmi dal punto di vista di Dio, e mi costringe ad essere onesto nei confronti di me stesso. Mi conduce all’umiltà… nel lasciarmi perdonare, imparo anche a perdonare gli altri» (Benedetto XVI, Lettera ai seminaristi 3, 18 ottobre 2010).

Questa è la via del giusto servizio. 

4. «Cerca nelle sue parole, che cosa abbia chiesto [il fariseo]. Non trovi niente. Andò per pregare; ma non pregò Dio, lodò se stesso. Non gli bastò non pregare, lodò se stesso; e poi insultò quello che pregava davvero. Il pubblicano se ne stava invece lontano, ma si avvicinava a Dio. Il suo rimorso lo allontanava, ma la pietà lo avvicinava. Il pubblicano se ne stava lontano; ma il Signore lo aspettava da vicino» (Agostino, Sermo 115,2).

Queste stupende parole del grande vescovo di Ippona vorrei si fissassero nel vostro cuore: il fondamento della preghiera – ce lo siamo ricordato spesso in questi anni – è la preghiera di domanda.

Nonostante l’intenzione comune – «Due uomini salirono al tempio a pregare» (Lc 18,9) – il fariseo indirizza in fondo la preghiera a se stesso – «pregava così tra sé» (Lc 18,11) –  non proprio a Dio. Facendo l’elenco dei propri meriti presume che, se li vede lui, tanto più li vedrà e li apprezzerà Dio.

L’autosoterìa è una menzogna pericolosissima e porta con sé un contrappasso inesorabile:«Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato» (Lc 18,14).

È la ragione per cui in questi anni ci siamo detti più volte che la comunione, il cui vertice per voi con l’odierna ordinazione è quella col presbiterio diocesano, è l’a-priori che solo garantisce la strada dell’appartenenza e del giusto servizio. Domandate il dono di questa comunione a-priori ogni giorno nella vostra preghiera. 

5. Un ulteriore passo si rende necessario per suggere tutto il nettare contenuto nell’odierno rito di Ordinazione: «E con affetto di predilezione sceglie alcuni tra i fratelli» (Prefazio). Come potrete, come possiamo rispondere all’amore di Colui che ci ama per primo, che ci ama in ogni istante come se fosse l’ultimo? La Chiesa oggi vi indica una strada luminosa: il celibato, cui vi siete impegnati in modo totale e definitivo per iscritto col Patriarca e con i suoi Successori. Questa scelta è già in vista del sacerdozio celibatario a cui voi siete incamminati. Le sue motivazioni sono radicate nella persona stessa di Cristo ed esprimono un singolare legame del celibato con la verginità. Questo spiega la sua profonda convenienza: il celibato non può essere ridotto ad una semplice disposizione disciplinare. L’appartenenza consapevole alla comunità diocesana voluta e cercata nelle forme che lo Spirito non lascia mancare a nessun fedele, e soprattutto perseguita ad ogni costo all’interno del presbiterio diocesano e nella comunione con il popolo affidato alla vostra cura, sarà per voi l’aiuto più grande per assaporare, col passare degli anni, il grande dono del celibato che, lo ripeto, oggi definitivamente scegliete. 

6. La consapevolezza umile e grata di questa elezione all’ordine del diaconato vi renda instancabili nella dedizione al grande compito che Dio affida ai ministri ordinati. «Il campo è il mondo», come ci ricorda oggi la 84ma Giornata missionaria mondiale. Il Papa, nella citata Lettera ai seminaristi rileva: «Gli uomini avranno sempre bisogno di Dio, anche nell’epoca del dominio tecnico del mondo e della globalizzazione: del Dio che ci si è mostrato in Gesù Cristo e che ci raduna nella Chiesa universale, per imparare con Lui e per mezzo di Lui la vera vita e per tenere presenti e rendere efficaci i criteri della vera umanità… Dio vive, e ha bisogno di uomini che esistono per Lui e che Lo portano agli altri» (Benedetto XVI, Lettera ai seminaristi 1, 18 ottobre 2010).

Vi ottenga questa consapevolezza da Cristo Signore Maria Santissima, che veneriamo come Vergine Nicopeia e come Madonna della Salute, alla cui intercessione vi siete affidati e che invocheremo prima del rito dell’Ordinazione, insieme ai nostri Santi veneziani, in particolare a San Lorenzo Giustiniani, a San Pio X e al Beato Giovanni XXIII. Amen.