Pubblichiamo una riflessione dell’Arcivescovo su questa quinta domenica.
Verità testimoniata
La figura di Giovanni Battista, il precursore, accompagna più tappe del nostro cammino d’Avvento e spalanca il cuore e la mente a riconoscere Colui che viene.
Leggiamo in un passaggio del Vangelo di oggi: «Giovanni gli dà testimonianza e proclama: “Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me”» (Gv 1,15-16.17b).
Nelle numerosissime raffigurazioni artistiche il Battista è spesso rappresentato con l’indice puntato ad indicare un altro: il testimone è sempre relativo ad un altro da sé. Ognuno di noi ha bisogno di testimoni.
La testimonianza dice dunque questo: l’accesso alla verità è reso possibile attraverso un altro. È un’evidenza documentata anche dall’esperienza comune di ogni donna e di ogni uomo: dall’attribuzione del nome fino al paziente e diuturno cammino dell’educazione, un altro ci dice chi siamo e ci introduce alla realtà. La fede non fa che illuminare fino in fondo l’esperienza umana. Per questo ci “con-viene” profondamente.
Da qui emerge una importante implicazione: nel necessario e infaticabile dialogo con ogni fratello uomo, il cristiano/testimone non è mai autoreferenziale. Non si pone mai come colui che già possiede la “risposta”, ma come un compagno di cammino verso Colui che è la risposta. Nella nostra società plurale questo ci rende particolarmente sensibili alla verità in ogni sua manifestazione, di cui ogni uomo può essere testimone. La verità viene sempre dallo Spirito Santo.
«Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce» (Gv 1,8). Dare testimonianza alla luce diventa quindi il compito dei cristiani.
Siamo ben consapevoli di quanta oscurità, di quanta incertezza, di quanta confusione siano piene le nostre giornate. Tante volte sembriamo muoverci a tentoni perché ci manca la luce, cioè la possibilità di riconoscere ed abbracciare persone e cose, circostanze e situazioni, nella loro verità e consistenza. Una mancanza – lo sappiamo bene – a cui non possiamo rispondere con le nostre sole forze: non siamo noi la luce! Eppure la luce c’è ed è possibile esserne investiti. Ogni uomo può riscoprire la bellezza del mondo quando, al mattino, viene ancora una volta bagnato dalla luce. Per questo i primi cristiani chiamavano il battesimo “illuminazione”.
«Quanti siete stati battezzati in Cristo – ci dice oggi san Paolo – vi siete rivestiti di Cristo Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,27-28). L’Apostolo evidenzia come il battesimo cambia le relazioni perché Cristo ci lega a Sé in un modo profondo e personale. Veniamo, come dice san Paolo, rivestiti di Cristo. Il battesimo, infatti, genera in noi una nuova figliolanza: «Tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù» (Gal 3,26). L’essere figli nel Figlio nega, come ci dice l’Epistola di oggi, ogni discriminazione tra Giudeo e Greco, tra schiavo e libero, tra uomo e donna.
Emergono qui due conseguenze decisive della novità che Cristo è venuto a portare nel mondo. Se non siamo più sotto il pedagogo (sorveglianza, costrizione) della Legge, ma sotto la fede che ci rende figli nel Figlio: all’uomo si schiude definitivamente un regime di libertà e ogni differenza non è più discriminante, ma può diventare preziosa risorsa.