Proponiamo l’intervista concessa dal cardinale Scola a Il Sussidiario, originariamente pubblicata il 12 aprile 2020 a questo link.


Stessa voce di sempre. “Osservo il mondo dal mio isolamento” dice il cardinale Angelo Scola, arcivescovo emerito di Milano. Il dramma del coronavirus ci ha però costretti in una situazione nuova, in cui l’isolamento di ognuno non è molto diverso da quello di tutti gli altri.

Il Sussidiario lo ha raggiunto al telefono e gli ha chiesto che cosa gli fosse dato di vedere dal suo punto di osservazione. Pandemia, fase 2, inchieste, disorientamento, paura e morte: tutto chiede una nuova sintesi, dice Scola, ma essa “non è un’idea, è la persona di Gesù Cristo vivo. Egli è qui con noi, oggi, e ci chiama per nome, come Maria Maddalena”.

Il mondo sta cambiando sotto i nostri occhi. Sembra di assistere al contrappasso della globalizzazione: l’isolamento e l’incertezza prendono il posto dell’apertura, della trasparenza, della realtà che risponde docilmente alla tecnica. Che cosa abbiamo sbagliato?

È difficile, se vogliamo essere realisti e non lasciarci strumentalizzare, dirlo adesso con giudizio adeguato. Nella storia dell’umanità un dato però è certo: ci vuole sempre un equilibrio tra l’io, nella sua libera singolarità, cioè nel suo essere unico ed irripetibile, e l’universalità in tutte le sue forme.

Lei ripete sempre che l’io è relazione: può esistere solo in relazione con l’altro.

Singolarità e universalità urgono una sintesi. Per me, credente, il fattore di sintesi non è un’idea, è la persona di Gesù Cristo vivo. Egli è l’universale concreto.

Ci aiuti a capire.

Gesù Cristo possiede la nostra umanità, perciò la abbraccia e la sostiene. Ma la sua è l’umanità singolare del Figlio di Dio e questo si vede nella sua risurrezione. Capisco che, dicendolo in così poche parole, faccio un salto enorme rispetto alla sua domanda.

Dunque la “sintesi” che cerchiamo non è un nuovo ordine economico o politico, ma una persona. 

È così. Una Persona senza la quale nessuno di noi può dire “io” fino in fondo. Questo diventa la chiave per affrontare meglio la dimensione religiosa, sociale, culturale, politica, economica, eccetera.

Il coronavirus ci ha isolati. La società è in pericolo?

Che l’esistenza della società sia in pericolo di dissoluzione per via della pandemia, voglio sperare di no. Ci affidiamo, come in tutto, alla Provvidenza. Indubbiamente siamo chiamati a un salto di qualità radicale nel modo di concepire tutte le nostre relazioni. Dobbiamo ripensare tutto.

I fedeli soffrono soprattutto perché la liturgia è sospesa: come affrontare questa situazione interiore di dolore e disagio? 

Anzitutto seguendo con grande attenzione quanto sta facendo e dicendo il Santo Padre, quello che fanno e dicono i vescovi e la gran parte dei sacerdoti nelle diocesi. Questo temporaneo limite dovrebbe provocare una percezione diversa del dono della Pasqua, della passione, della morte e della resurrezione di Gesù. Per vivere di Cristo le possibilità sono mille. Vanno dal vertice della liturgia fino ai più piccoli gesti di affetto e di carità. Penso in questo momento alla straordinaria dedizione di medici e di infermieri.

Dov’è Dio, senza i segni, i sacramenti, in cui si rende visibile?

Il battesimo, l’eucarestia e tutti i sacramenti sono il fondamento della comunicazione del Cristo vivo. Tuttavia qualunque circostanza, vissuta nella fede, ha una valenza sacramentale. È una modalità con cui Gesù mi viene incontro e mi diventa contemporaneo. Infatti, se non è contemporaneo e se io non lo accolgo nella mia vita, non mi salva.

Cosa risponderebbe a quei fedeli che reclamano di partecipare alla Messa? Non si comunicano dai primi di marzo.

Vorrei che per questa mancanza non prevalesse il lamento, ma il dolore. Noi rischiamo di trasformare tutto in ideologia, magari anche i sacramenti.

L’imprevisto e il dramma del coronavirus e della malattia che cosa ci chiedono?

Di capire il senso pieno della nostra vita. Purtroppo, però, non vedo molti passi in questa direzione. La solitudine, la paura, la povertà, sono sfide enormi, ma la domanda “Io, chi sono?” resta troppo assente.

La paura, ha detto. Come si supera?

Innanzitutto accettandola, perché l’umana psicologia non ha in sé la forza di togliercela, e poi orientandola appunto verso un senso inteso come significato del vivere e direzione di un cammino per raggiungerlo. Troppi sono ancora convinti che la vita finisce nel nulla. Ma se è così, che cosa ci resta dopo aver pianto i nostri cari? La risposta al nulla è la Pasqua. Pasqua di crocifissione e pasqua di resurrezione.

Molti rimarranno senza lavoro. Qual è il suo appello a chi governa?

Fare una politica capace di valorizzare tutte le persone e i corpi intermedi, piccoli e grandi, che sono la ricchezza della società civile italiana. Tutta l’Italia, fin nei più piccoli centri, ne è piena. La politica riparta da lì, da questi mondi, senza farsi ricattare da un neo–liberismo prepotente dominato dalla macrofinanza che dimentica i poveri e li tratta come uno scarto.

Non solo l’Italia: anche l’Unione Europea è in crisi gravissima.

L’Europa non può essere un apparato condizionato dagli interessi economici dei poteri più forti. Serve una unità europea reale. Mi sembra che ormai non basti più nemmeno una federazione europea.

In Lombardia sono iniziate le prime inchieste. Si vuole giustizia. È una pretesa legittima?

Se ci sono stati dei reati, effettivi e documentati, siano perseguiti. Adesso però dobbiamo risorgere tutti. E una vera rinascita non può non passare da un cuore largo.

Si pensa alla fase due perché occorre ricominciare. Qual è la posta in gioco?

La fase due va gestita con molta, molta cura perché l’epidemia non sarà affatto scongiurata ed è bene dirlo con chiarezza. Non entro nella tecnicalità, perché ovviamente non è il mio campo. Il mio auspicio però è che tutti coloro che possono farlo aiutino ciascuno di noi a trovare il senso di ciò che sta capitando. Questa è la posta in gioco.

Che rischi vede?

Se non sappiamo che senso ha ricominciare ogni mattina, amare, lavorare, riposare, con tutti limiti imposti dalla situazione, non ci sarà “fase due” che ci farà uscire.

Oggi è Pasqua. Cristo è risorto, ma la resurrezione finale, che noi attendiamo, avverrà in un tempo che non ci è dato conoscere (Rm 8). Dove riconoscere i segni e l’anticipo di questa pienezza?

Tutto ciò che in noi è sorgente di sofferenza e motivo di croce a ben vedere è un invito a gettare uno sguardo amoroso sul Cristo vivo. È lui che ci salva perché, come ha detto Papa Francesco, “volge al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte”. Non bisogna svuotare la croce di Cristo rendendola vana, perché è inseparabilmente connessa alla Sua resurrezione.

A che cosa pensa esattamente, dicendo questo?

Penso a Maria Maddalena, che si reca al sepolcro con l’intento di ungere il corpo di Gesù e si trova davanti a un uomo che scambia per il giardiniere, ma quel giardiniere è Gesù che la guarda e la chiama per nome. Ed ella si apre ad una conoscenza commossa di Cristo, una conoscenza che è fonte di gioia e fa sparire l’incubo della morte. Egli è qui con noi, oggi. Questo è il punto della questione. È difficile da comprendere e da vivere a causa della nostra debolezza e del nostro peccato.

In questo tempo di ritiro e di isolamento, che cosa le accade di pensare più spesso?

Ripenso a molti momenti della mia infanzia, ma soprattutto a quello decisivo dell’incontro con don Giussani nel 1958-59. È il ricordo vivo dell’attuarsi del battesimo e della bellezza della comunione, la compagnia centrata su Cristo. Ritorno spesso al mio ministero episcopale a Grosseto, all’Università Lateranense, a Venezia e a Milano. Ed è sempre, nonostante i miei limiti, fonte di gratitudine.

(Federico Ferraù)

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Immagine: Caravaggio, Incredulità di San Tommaso (1601), particolare