Intervento del card. Angelo Scola a Gazzada (Varese), 6 aprile 2019

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“Il riferimento al cristianesimo è assolutamente decisivo non solo perché fa parte del passato dell’Europa ma perché può contribuire al suo futuro”. Così si è espresso il cardinale Angelo Scola intervenendo al convegno su “Cristianesimo e futuro dei popoli europei” che si è tenuto a Gazzada, presso Villa Cagnola, il 6 aprile scorso. In dialogo con il giornalista Luigi Geninazzi, il cardinale è entrato subito nel merito di quel che viene comunemente definita la profonda crisi dell’Unione Europea ma che lui preferisce indicare come un travaglio da cui può nascere anche un bene. Per Scola l’Europa è il frutto maturo della modernità che ci ha fatto dono del soggetto e della Carta dei diritti. Ma al suo culmine questo processo ha svilito il soggetto, riducendo l’uomo al “prodotto del proprio esperimento” (definizione del filosofo e politico tedesco Marc Jongen). E il progressivo allargamento dei diritti ha fatto sì che ogni aspirazione individuale o di gruppo pretendesse di ricevere conferma vincolante per tutti mediante la legge. Questa tendenza è chiaramente visibile all’interno della Ue: se da un lato la Commissione Europea non dà direttive e lascia la decisione ai singoli Stati membri per quanto riguarda il matrimonio e la famiglia, dall’altro l’Europarlamento ha approvato risoluzioni per incoraggiare istituzioni e Paesi europei a riconoscere unioni civili e matrimoni tra persone dello stesso sesso. Come se ne esce? Sulla questione del soggetto Scola ribadisce che va riscoperto l’io-in-relazione, l’unica proposta che potrà garantire il cambiamento del rapporto con sé, con l’altro e con Dio coniugando la libertà della persona con la dimensione comunitaria della vita umana. Sulla questione dei diritti che produce costantemente conflitti in seno ai popoli occorre rifarsi all’intreccio inscindibile tra diritto, dovere e legge: ogni volta che viene stabilito un ben definito diritto vi deve corrispondere un dovere e quindi una responsabilità collettiva sancita con una legge (ad esempio: il diritto alla libertà d’educazione, stabilito più volte dalla Ue, dovrebbe spingere gli Stati membri ad una serie di disposizioni legislative che ne garantiscano la pratica effettiva). 

Scola ha quindi affrontato il tema della libertà religiosa, riconosciuta ormai come un dato acquisito in Europa ma messa a rischio nella sua pratica concreta. L’impatto spesso traumatico con l’islam sul nostro continente ci sta portando ad un rifiuto del nesso religione-tradizione, a tal punto che il cristianesimo è oggetto di attacchi anche violenti così che in alcuni Paesi europei si sta configurando una vera e propria “cristianofobia” (secondo un recente reportage del giornale “Le Figaro” in Francia nel corso del 2018 ci sono stati oltre 1000 atti di vandalismo contro le chiese e i cimiteri cristiani, cioè una media di oltre tre al giorno!). In questa prospettiva non basta, anche se è necessario, riaffermare le radici cristiane d’Europa. Scola non si sottrae ad un giudizio molto netto sul sovranismo che si erge a difesa della tradizione cristiana e dell’identità nazionale. Così come viene teorizzato in alcuni Paesi, soprattutto nell’Europa dell’Est, “il sovranismo costituisce una risposta inadeguata ai problemi sopra accennati, in quanto esaspera l’opposizione tra l’universalismo, fondato su quella che il filosofo Josef Weiler chiama ‘la trinità laica’ dei fondamentali principi di democrazia, tutela dell’individuo e stato di diritto, ed il riferimento ai valori della nazione”. Alla base del sovranismo, dice Scola, “c’è una logica infeconda di culture war, di guerra culturale, ma sarebbe un errore considerarlo semplicemente come una reazione conservatrice mentre in realtà segnala una grave carenza dell’Europa, un vuoto di significato che l’universalismo dei diritti non è riuscito a colmare”.

In questa situazione, chiede Geninazzi, quale deve essere allora il contributo dei cristiani alla costruzione europea? Scola cita il discorso con cui Benedetto XVI, subito prima di lasciare il suo ministero petrino nel 2013, si rivolse ai vescovi lombardi ricordando che “Milano e la sua regione, Mediolanum, la città di mezzo, è un fattore indispensabile per la rinascita del cristianesimo in Europa”. E la strada che conduce alla rinascita si chiama testimonianza, cioè una proposta che sottolinea con forza i tratti costitutivi della fede: un cristianesimo dell’amore personale, della conoscenza del mondo, della libertà di coscienza, e infine dell’impegno comunitario e sociale. In particolare, conclude il cardinale Scola, la testimonianza implica una proposta chiara del mistero nuziale, quindi del bene della famiglia, del dono della vita e dell’educazione. Come ha detto papa Francesco i cristiani devono contribuire a forgiare “un’Europa basata su tre capacità: quelle di integrare, di dialogare e di generare”. 

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