Viene qui di seguito proposta un’intervista al Patriarca pubblicata in data 28 marzo da IlSussidiario.net:

Cardinale 3All’Angelus di ieri Benedetto XVI ha rivolto un appello «a quanti hanno responsabilità politiche e militari, per l’immediato avvio di un dialogo, che sospenda l’uso delle armi». «Che la pace ritorni al più presto per quelle popolazioni e si fermino tragedie ulteriori – dice a ilsussidiario.net il cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia -, significa ridire con forza che ogni morto è di troppo. La pace però non è un automatismo utopistico, occorre costruirla ogni giorno nella realtà». «Noi europei – spiega ancora Scola – siamo vittime di una forte presunzione. Pensiamo di saper valutare e risolvere i problemi senza prendere in considerazione la testimonianza di chi vive in queste situazioni». A cominciare dai cristiani di quelle terre. E non esistono solo le pur importantissime istanze di partecipazione e di democrazia, ma anche le trasformazioni dell’islam. Una sfida nel quale si giocano i contorni spirituali dell’identità europea, e in particolare dell’Italia, cerniera tra nord e sud del mondo.

(per leggere la prima parte dell’intervista cliccare qui)

 

Tutti o quasi sono d’accordo nel riconoscere che una grande emergenza umanitaria è alle porte. Che cosa devono fare la politica e la società per essere all’altezza del compito?

Un conto è l’impeto di accoglienza, che dev’essere immediata verso chi si trova in una situazione di difficoltà così pesante. Un conto è la politica che deve essere ordinata ed organica anche in un caso di grave emergenza come questo. Il problema è assumersi tutti una corresponsabilità, tutta l’Europa è chiamata a giocarsi in questa situazione. Il nostro Paese deve predisporsi ad affrontare con realismo il fatto che si stanno presentando alle nostre porte decine di migliaia di persone. Certo, occorre tenere desto e lungimirante lo sguardo: le tragedie che segnano il Nord Africa e più in generale l’inizio del terzo millennio sono una provocazione formidabile della Provvidenza a pensare l’uomo del futuro. Che uomo vogliamo essere? Un io-in-relazione? Oppure un uomo che, certo, può avere a disposizione mezzi tecnoscientifici strabilianti, ma tende a fossilizzarsi in un’identità individuale e quindi ad involversi? 

Secondo lei questa crisi in atto sta anche «misurando» l’unità europea?

Questo travaglio sta mostrando che l’Europa non può essere tenuta insieme solo dal cemento dell’euro, ma necessita di un’identità chiara, di una politica estera ed economica solida e di ampio respiro. Ma ciò sarà impossibile, lo ripeto, senza che uomini e popoli europei rispondano ad un grande quesito: “Chi vuol essere l’uomo del terzo millennio?” Forse la tragedia dell’arrivo di moltissimi uomini e donne dall’Africa, se saremo tutti più generosi, potrà provocatoriamente rappresentare un collante per la costruzione di un’Europa pacifica perché capace di aprirsi, con intelligente disponibilità, a chi è nel bisogno. Un’Europa che diventi espressione tangibile di quella condivisione tra i popoli indispensabile per il presente e il futuro e che noi, europei un po’ impagliati e seduti, ancora non siamo stati capaci di rendere progetto stabile di vita buona.

Lei, fin dall’inizio del suo mandato, ha centrato la sua missione di pastore sull’essere la Chiesa di Venezia ponte di dialogo tra oriente e occidente. Esiste una missione particolare che essa può svolgere in questo preciso momento storico?

Proprio in questo tempo, in cui in tutto il Nordest ci stiamo preparando ad accogliere l’ormai imminente visita del Santo Padre ad Aquileia e Venezia, stiamo aprendo gli occhi su una nuova sfida che attende Venezia e il Nordest intero: ritrovare l’originaria funzione di cerniera tra popoli e culture, ma non più solo tra l’Est e l’Ovest, ma anche tra il Nord e il Sud del mondo. Guardando alla carta geografica dell’area, balza all’occhio come l’Adriatico sia il vertice del Mediterraneo che qui, nelle nostre terre, entra nel cuore della vecchia Europa. Le circostanze ci stanno invitando a interrogarci su quale potrà essere questo necessario, “nuovo” Nordest, che come ai tempi dello splendore di Aquileia, da cui nacquero ben 57 Chiese, potrà ricomprendere Croazia, Slovenia, Austria, Baviera, parte dell’Ungheria. In una parola le regioni dell’Alpe Adria.

(a cura di Federico Ferraù)