gesùRiportiamo di seguito, come spunto di riflessione, uno stralcio del cap. 3 del libro del card. Angelo Scola “Come nasce e come vive una comunità cristiana” (Venezia, 2007, Marcianum Press editore).

Gesù Cristo, la rivelazione dell’amore

L’intera portata di questa legge inscritta dal Creatore nel cuore dell’uomo l’ha rivelata il Signore Gesù. Il ristianesimo, infatti, è la manifestazione piena della realtà, permette di dare il nome proprio alla realtà. L’indagine razionale sulla realtà ci fa parlare di essere. Gesù ci dice che il nome proprio dell’essere è il Dio uno e trino. Non è l’essere, genericamente.

È il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, che sono l’unico Dio. Sono molto belle in proposito le parole di Benedetto XVI nel suo discorso di Verona: «Qui molto più di ogni ragionamento umano, ci soccorre la novità sconvolgente della rivelazione biblica: il Creatore del cielo e della terra, l’unico Dio che è la sorgente di ogni essere, uesto unico “Logos” creatore, questa ragione creatrice, sa amare personalmente l’uomo, anzi lo ama appassionatamente e vuole essere a sua volta amato. Questa ragione creatrice, che è nello stesso tempo amore, dà vita perciò ad una storia d’amore con Israele, il suo popolo, e in questa vicenda, di fronte ai tradimenti del popolo, il suo amore si mostra ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l’amore che perdona al di là di ogni limite.

In Gesù Cristo un tale atteggiamento raggiunge la sua forma estrema, inaudita e drammatica: in Lui infatti Dio si fa uno di noi, nostro fratello in umanità, e addirittura sacrifica la sua vita per noi. Nella morte in croce – apparentemente il più grande male della storia –, si compie dunque “quel volgersi di Dio contro se stesso

nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo – amore, questo, nella sua forma più radicale”, nel

quale si manifesta cosa significhi che “Dio è amore” (1 Gv 4, 8) e si comprende anche come debba definirsi l’amore autentico (cfr. Enc. Deus caritas est, nn. 9-10 e 12)».

Dunque l’intera portata di questa legge inscritta nel cuore di ogni uomo l’ha rivelata il Signore Gesù. Infatti «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi» (1Gv 4, 10). La necessità del tu destante e accompagnante è data dal fatto che alla radice ultima di ogni uomo c’è questa iniziativa dell’Amore, in sé e per sé, di amarci al punto tale da porci nell’essere, da crearci, da sostenerci, da redimerci.

La creazione, infatti, è una relazione personale tra la Trinità e ciascuno di noi. Non una mera relazione iniziale, del passato, ma una relazione attuale. È una relazione stabile, permanente, di Dio alla mia persona. Non è che la Trinità ha messo in moto qualche cosa all’inizio, quando i miei genitori mi hanno concepito, e basta. No, è un rapporto permanente e stabile. Un rapporto fedele che Cristo compie con la redenzione, dal momento che porto in me le conseguenze del peccato d’origine da cui il Battesimo mi ha liberato; dal momento che sono pieno di fragilità e

di peccato. La salvezza di Cristo ha reso concreta per me questa iniziativa di amore che la Trinità pone alla base del mio stesso essere, come dell’essere di ogni uomo, dell’essere di tutta la famiglia umana.

La radice del nostro amore è l’amore di Dio e Cristo Gesù è come se l’avesse manifestata. A tal punto che adesso, dice Paolo, «caritas Christi urget nos» (2Cor 5, 14), è l’amore stesso di Cristo che ci urge.

L’amore in senso proprio vive sempre in me in forza dell’iniziativa di un altro. L’esperienza elementare del tu destante della mamma, del papà, dell’amico, ecc., qui trova la sua spiegazione radicale.

Il tu destante in senso definitivo è la Trinità che, in concreto, mi desta a questa coscienza attraverso Cristo, Colui che ci ha amati per primo.

Così che adesso l’amore urge in me come amore di Cristo. Non è più il mio generico essere aperto a ricevere la donazione dell’altro e a donarmi all’altro, ma ha un nome e un cognome. È Gesù Cristo, che rivela l’amore della Trinità. Io voglio partecipare di quell’amore. La pienezza del mio amore è la partecipazione a quell’amore. L’amore di Cristo fiorisce dentro la terra di questa esigenza, di questo bisogno, di questo interesse, di questo gusto trasformandoci e donandoci la speranza del loro compimento.

Come avviene questo? In che modo la grazia dell’amore originario si innesta sulla libertà chiamata ad amare? Questo avviene secondo un processo di continuità e, nello stesso tempo, di discontinuità. Infatti, l’esperienza dell’amore da una parte raccoglie un’esigenza, dall’altra la trasfigura, la trasforma. Ecco perché si parla di metanoia, di conversione.

Abbiamo già visto che alla radice di questa possibilità si trova il dono del battesimo che ci fa nascere di nuovo. Una nascita nuova che ci compie pienamente nell’incorporazione eucaristica, resa permanentemente possibile a noi peccatori dal dono della riconciliazione sacramentale.

Quindi l’amore in senso pieno è l’amore di Colui che ci ha amati per primo, l’amore trinitario di Gesù crocifisso e risorto, eucaristicamente offerto. Questo amore fiorisce sulla mia esperienza.

Raccoglie la mia istanza di amore, raccoglie le mie esigenze, i miei bisogni, i miei interessi, il mio gusto continuità) ma, nello stesso tempo, li trasforma radicalmente (discontinuità).

La caritas, il gratuito in senso forte, è l’esito della trasfigurazione del suo amore naturale (eros) che il discepolo di Cristo sperimenta nell’agape, per quanto è possibile nell’al di qua. L’eros è trasfigurato proprio nella misura in cui io faccio posto all’amore di Cristo. Il mio amore è partecipare dell’amore di Cristo.

Ecco perché io ripeto spesso che amare è gestire insieme l’eredità di Cristo, gestire insieme i talenti che Cristo mi ha dato. L’amore è molto più dell’ordine dell’opera, dell’azione, che dell’ordine del sentimento o della passione. Evidentemente tiene dentro tutto l’istinto, l’interesse, l’inclinazione, il bisogno, il desiderio ecc; ma, nel suo compimento, ha un carattere limpido, oggettivo.

È l’amore personificato del Cristo di cui noi siamo resi partecipi. Pertanto se diciamo Dio è amore, se parliamo di carità, mettiamo anzitutto in campo Dio. Dio Trinità in Cristo passo, morto e risorto, e permanentemente elargito nell’Eucaristia. Non mettiamo in campo, anzitutto, noi stessi e l’uomo. Questo è un punto decisivo: per noi cristiani parlare di amore coincide col mettere in campo subito Cristo.