Riportiamo di seguito, come spunto di riflessione, uno stralcio del cap. 3 del libro del card. Angelo Scola “Come nasce e come vive una comunità cristiana” (Venezia, 2007, Marcianum Press editore).

Una dimensione da reimparare sempre

Non di rado quando sentiamo l’espressione “educazione al gratuito” o la parola “gratuità”, crediamo di sapere già di cosa si tratti. Invece è molto importante riscoprirne il senso. L’aggettivo gratuito fa subito venire in mente qualche cosa di ancora più radicale del dono. O se volete la gratuità è la forma più radicale di donazione.

Come il trovarsi davanti Venezia, sotto la luna, dal ponte dell’Accademia, è una donazione: inaspettata, che ti sorprende quando passi. Nel gratuito non c’è scambio. Anzi il gratuito interrompe ogni logica di scambio («do ut des»). Nella nostra società abbiamo a tal punto dimenticato il gratuito che spesso persino il dono viene risucchiato nella logica di scambio. Pensiamo per esempio ai regali in occasione dei matrimoni: “Quando mi sono sposato quella persona mi ha regalato tanto, adesso che si sposa sua figlia io le devo regalare altrettanto”.

Il dono diventa scambio e perde in gratuità. Alla fine non è più un vero dono. Pretendendo la reciprocità noi distruggiamo l’idea di gratuità e di carità (“sono pronto a dare questa cosa se però l’altro mi dà quest’altra”).

Ciò vale, per certi versi, anche a livello sociale dove, però, l’ordine di giustizia comporta anche un certo grado di reciprocità. Nei commenti alla Deus caritas est normalmente non viene evidenziato il nesso, che a mio giudizio invece è fondamentale, tra la prima e la seconda parte dell’enciclica. Spesso gli interpreti hanno separato totalmente le due parti come se non ci fosse un rapporto tra l’amore personale e l’amore sociale – la filìa – l’amore all’interno della società. Mentre c’è. Come a livello personale occorre un lavoro di purificazione dall’eros all’agape, così a livello sociale è necessario percorrere la strada che va dalla giustizia alla carità. Le due cose sono connesse, non si possono mai separare.

Dunque gratuito è ciò che rompe con ogni logica di scambio, con ogni pretesa di reciprocità. Da dove nasce la dimensione del gratuito?

Alle fonti della gratuità

Per rispondere alla domanda circa l’origine del gratuito basta partire dalla prima e più elementare constatazione che tutti noi facciamo. Si tratta di un’evidenza propria dell’esperienza elementare: l’io si desta e si compie in un tu. Gli esempi si potrebbero moltiplicare: il sorriso della mamma che accende quello del bambino; il suo aprirsi al terzo che è il papà, vicino alla mamma; il progressivo aprirsi del bambino all’altro sconosciuto che entra in casa: all’inizio sta sulle difensive, rannicchiato vicino al papà e alla mamma, poi quando il papà e la mamma cominciano a parlare con lo sconosciuto, il bambino incomincia a “lasciarsi fuori”, gli va incontro, si fida, perché percepisce che c’è un clima che tiene quest’altro appena arrivato dentro una qualche comunanza con i suoi. E comincia a sentirsi a suo agio. Sono tutte forme elementari in cui si vede che l’io si desta e si compie attraverso un tu.

Abbiamo parlato di evidenza propria dell’esperienza elementare. Tutti gli uomini, di tutte le culture, di tutte le razze, di tutte le religioni, di tutti i tempi, di tutti i ceti, fanno questa esperienza.

Ma c’è un momento in cui questa esperienza emerge in una maniera clamorosa. È il momento della com-passione – nel senso etimologico del termine, cioè del patire insieme – verso la famiglia umana cui apparteniamo. Capita lo Tsunami. Immediatamente c’è un moto di generosità che viene a noi proprio da questo appartenere alla comune famiglia umana. Da questa esperienza elementare, dall’evidenza che l’io ha bisogno del tu. In un certo senso, con un paradosso, si potrebbe dire il mio io sei tu. Nell’esperienza dell’amore tra l’uomo e la donna, tra il padre, la madre e il figlio, questo prende un peso clamoroso.

Questo ci dice che l’amore, inteso in senso generale come apertura all’altro, come esposizione di sé all’altro, come dono di sé all’altro è la legge dell’esistenza.

Non è qualche cosa che sta fuori dalla realtà. Lo sperimentiamo tutti i giorni. Per quanto l’esperienza psicologica della reattività di fronte all’altro (la simpatia, l’antipatia, l’opinione negativa o positiva ecc.) possa avere un peso molto rilevante nella nostra vita, tuttavia non spegne questa evidenza elementare. C’è sempre un tu destante nella nostra vita. Un tu destante ed accompagnante. Può essere il papà, la mamma, i fratelli, gli amici, quella che sarà mia moglie, il mio figliolo, la compagna di comunità che mi è stata data, i due o tre che sono stati miei compagni in seminario, il sacerdote che mi ha fatto intravedere la mia vocazione, quella persona che mi ha testimoniato l’imponenza di Cristo nella sua vita, quest’altra che mi ha aiutato con abnegazione quando ho avuto bisogno… sempre, per tutti e per ciascuno, c’è un tu destante e un tu accompagnante.