Riportiamo di seguito, come spunto di riflessione, uno stralcio del cap. 2 del libro del card. Angelo Scola “Come nasce e come vive una comunità cristiana” (Venezia, 2007, Marcianum Press editore).
L’antefatto della fede
La precedenza della fede è una necessità congenita all’esperienza cristiana. Potremmo anche dire che la fede è l’antefatto che fonda l’esperienza cristiana. Il Papa, nell’omelia di Verona, lo suggerisce con emplicità: «Dalla forza di questo amore, dalla salda fede nella risurrezione di Gesù che fonda la speranza nasce e costantemente si rinnova la nostra testimonianza cristiana. È lì che si radica il nostro “Credo”, il simbolo di fede a cui ha attinto la predicazione iniziale e che continua inalterato ad alimentare il Popolo di Dio. Il contenuto del kerygma dell’annuncio, che costituisce la sostanza dell’intero messaggio evangelico, è Cristo, il Figlio di Dio fatto Uomo, morto e risuscitato per noi. La sua risurrezione è il mistero qualificante del Cristianesimo, il compimento sovrabbondante di tutte le profezie di salvezza (…) Dal Cristo Risorto, primizia dell’umanità nuova, rigenerata e rigenerante, è nato in realtà, come predisse il profeta, il popolo dei “poveri” che hanno aperto il cuore al Vangelo e sono diventati e diventano sempre di nuovo “querce di giustizia” (…) Il mistero della risurrezione del Figlio di Dio, che, salito al cielo accanto al Padre, ha effuso su di noi lo Spirito Santo, ci fa abbracciare con un solo sguardo Cristo e la Chiesa (…) Così avvenne all’inizio, con la prima comunità apostolica, e così deve avvenire anche ora. Dal giorno di Pentecoste, infatti, la luce del Signore risorto ha trasfigurato la vita degli Apostoli. Essi ormai avevano la chiara percezione di non essere semplicemente discepoli di una dottrina nuova ed interessante, ma testimoni prescelti e responsabili di una rivelazione a cui era legata la salvezza dei loro contemporanei e di tutte le future generazioni».
Per avere il pensiero di Cristo bisogna dunque riconoscere che la fede poggia su un antefatto. C’è un fatto che sta prima di ogni mia iniziativa personale nel credere. Nessuno si fa cristiano da sé. Nessuno nasce a vita nuova da sé. Questa è la fede della Chiesa di cui parla il Papa così come emerge in maniera sensibile e quotidiana nel luogo in cui tu puoi dire «vieni e vedi», cioè nella comunità cristiana.
Per questo una dimensione ineliminabile e permanente della vita cristiana è la Traditio. Scelgo di usare la parola latina per non confonderla con le tradizioni, pure importanti, che possono essere caduche.
C’è una traditio la cui radice è eucaristica. San Paolo la identifica con chiarezza nel racconto dell’istituzione dell’Eucaristia: «Ho ricevuto dal Signore ciò che a mia volta vi ho trasmesso» (1Cor 11, 23). L’Eucaristia è Gesù che, durante quella cena pasquale, si è consegnato in modo assolutamente inimmaginabile anticipando la Sua morte e resurrezione redentrici a nostro favore e facendo coincidere l’offerta di tutta la Sua Persona con il pane e con il vino trasformati nel Suo Corpo e nel Suo Sangue.
Senza soluzione di continuità dalla prima comunità apostolica riunita quella sera nel cenacolo, per la potenza dello Spirito, su su fino alla parrocchiadell’ultimo dei paesetti di montagna d’Italia si potrebbero ricostruire tutti gli anelli della catena fisica che lega la Cena del Giovedì Santo ad ogni Eucaristia. Noi “apparteniamo” a questa Traditio.
L’antefatto della fede dice che è sempre necessaria la comunità ecclesiale perché solo essa assicura la “reperibilità del Signore”. Non si arriva da soli alla fede. Anche se il sì è personale, l’incontro nasce sempre da testimoni (Cfr. 1Gv 1) e dentro una comunità. La fede cristiana non è l’esito di uno slancio religioso soggettivo, della mia religiosità personale; incontra anche questi fattori, ma ha bisogno della Traditio. Se si interrompe la catena dei testimoni ci si perde. Quando si interrompe la catena dei testimoni si rischia di scivolare verso la separatezza.
Qual è allora il metodo o la strada concretamente segnata dall’antefatto della fede? La necessità di vivere in profondità il nucleo genetico in cui la Traditio (l’antefatto) è fisicamente assicurata: l’Eucarestia e i sacramenti nel nesso con la Parola di Dio come genesi di una comunità capillarmente espressa, che “sente” con tutta la Chiesa (sentire cum Ecclesia), cioè che ripropone in un preciso luogo e tempo quello che hanno vissuto Pietro, Giacomo, Giovanni, gli altri discepoli, e su, su… fino a noi. Non ci sarà educazione al pensiero di Cristo senza questo radicamento nella fede trasmessa e ricevuta.
Il primo elemento per educarsi al pensiero di Cristo è, pertanto, l’immergersi nella Traditio, star dentro la comunità dove Gesù è reperibile per tutti, rispetto alla quale io devo poter dire a chiunque e in qualunque momento: «vieni e vedi».