Una famiglia è tale solo se poggia sulla differenza sessuale tra uomo e donna, sull’amore come dono di sé e sulla fecondità.


Quale realtà corrisponde alla parola famiglia nelle società avanzate del XXI secolo? «Di famiglia – scrivevo fin dal primo articolo, più di un anno fa – si parla ancora, ma mi sembra un puzzle con i pezzi intercambiabili!». Tuttavia l’esperienza di famiglia comune a ogni uomo, pur nelle innegabili trasformazioni connesse alle vicende storiche e culturali dei vari popoli, ci rimanda ad alcuni tratti indistruttibili, scolpiti in una roccia dura come il diamante. L’amore fedele tra un uomo e una donna, aperto alla vita e capace di prendersene cura, caratterizza «il vero bene comune» – così Benedetto XVI ha definito la famiglia lo scorso settembre ad Ancona – su cui si fonda ogni autentica civiltà. Un bene prezioso da trasmettere alle generazioni future, per condividerlo con esse. Eppure i mass media continuano a sostenere chi pretenderebbe che i propri «desideri affettivi» fossero riconosciuti quali «diritti fondamentali» (basti vedere il caso delle coppie di fatto). Come se il vivere sotto lo stesso tetto «in ragione dell’esistenza di vincoli affettivi» fosse sufficiente a costituire un unico nucleo familiare. Ma le cose non stanno così: non bastano i vincoli affettivi a costituire una famiglia. Nel rispetto delle scelte di tutti, una famiglia è tale solo se poggia su tre fattori inseparabili: la differenza sessuale (uomo-donna), l’amore come dono di sé e la fecondità. Di questa proposta integrale si nutrono le speranze più elevate dei giovani, cioè le speranze di una vita pienamente riuscita.

(Da Angelo Scola,  “Famiglia, risorsa decisiva” Padova, Edizioni Messaggero, 2012)