CARITAS IN VERITATE – Viene riproposto un articolo del Patriarca su “Caritas in veritate” pubblicato da Il Sole 24 ore il 9 luglio 2009:

Card. Angelo Scola

Patriarca di Venezia

La carità nella verità è «un’esigenza della stessa ragione economica» (CV, 36). Benedetto XVI dà corpo a questa affermazione parlando di «principio di gratuità» e di «logica del dono come espressione della fraternità» (CV, 36). Sono così, di colpo, individuati due cardini della novità nella concezione dello «sviluppo integrale» proposto dall’Enciclica.

Il primo cardine riguarda la concezione stessa dell’economia che, come da più parti si ripete in questo tempo di crisi, domanda di essere ripensata. In quale direzione? Certo in quella dell’etica di cui l’economia ha bisogno per il suo corretto funzionamento. Benedetto XVI però va oltre: l’etica è condizione necessaria ma non sufficiente per una ragione economica adeguata. Parla addirittura di «un abuso dell’aggettivo “etico”» (CV, 45) impiegato spesso in modo talmente generico da servire come copertura a scelte contrarie alla giustizia e al bene comune fondati su un’antropologia adeguata. Dignità della persona, necessità di una relazione buona con se stessi, con gli altri e con Dio diventano così dimensioni costitutive della sfera economica.

Siamo lontani da una visione totalizzante dell’economia, corretta tutt’al più dal potere politico che non sarebbe comunque in grado di intaccarne i dinamismi strutturali.

Evidentemente categorie come mercato, impresa, autorità politica vanno ridisegnate. Potranno così farsi carico del processo di globalizzazione in atto, fenomeno in sé né buono né cattivo, a patto che venga orientato con una pratica di vita buona. Riaffiora il valore originario, connaturale all’umano, dell’economia stessa: governo – secondo l’etimo – della casa comune della famiglia umana.

Il secondo cardine della novità contenuta nell’Enciclica possiede una forza creativa degna dei radicali cambiamenti esigiti in questo Terzo millennio. Parlare infatti di “principio di gratuità”, dedicando un intero capitolo per descrivere lo sviluppo economico integrale in termini di fraternità, significa non solo formulare una critica a come normalmente si intende il rapporto tra etica ed economia, ma anche prevenire un riferimento troppo generico all’antropologia. La «ragione economica» non potrà dispiegarsi in maniera compiuta – e non si uscirà dalla crisi -, se non saprà fare spazio alla logica del dono. In cosa consiste? Essa brilla nel titolo stesso dell’Enciclica: carità nella verità.

Il dono, come esperienza elementare propria dell’uomo, realizza la domanda di felicità che ogni persona ed ogni società si portano dentro. La carità, il dono di sé che il Figlio di Dio incarnato compie sulla Croce in nostro favore, raggiunge ogni uomo. Così come l’autonomia socio-economica non è messa in questione da questo esplicito riferimento a Gesù Cristo. Non c’è alcuna volontà di ingerenza della Chiesa nella sfera propria dell’economico e del sociale. Se mai il magistero papale, col peso di una lunga tradizione – si pensi a San Benedetto e a San Francesco – ma col vigore richiesto dal tempo presente, invita gli attori del necessario ripensamento dell’economico e del sociale a verificare la validità della proposta.

L’enciclica non manca di mostrarne alcuni tratti decisivi. Anzitutto estendendo l’ambito proprio di una economia di gratuità e di fraternità dalla società civile al mercato e allo Stato: «Oggi possiamo dire che la vita economica deve essere compresa come una realtà a più dimensioni: in tutte, in diversa misura e con modalità specifiche, deve essere presente l’aspetto della reciprocità fraterna» (CV, 38).

I tre capisaldi della Dottrina Sociale – dignità della persona, principio di solidarietà e principio di sussidiarietà – sono così rivisitati a partire da una forma concreta di democrazia economica. La gratuità non va intesa come pura cosmesi della giustizia e del bene comune, senza i quali, tuttavia, non si può parlare né di carità né di verità. Benedetto XVI non lascia scampo: «Oggi bisogna dire che senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia» (CV, 38).

Le conseguenze di una simile visione sono prospettate con molto realismo dall’Enciclica. Qui se ne possono richiamare due: l’adeguata concezione del mercato e la necessità di meglio articolare teoria e prassi di impresa.

Il mercato, e quindi l’economia di mercato, non sono fatti di natura, ma di cultura. In quest’ottica “Caritas in veritate” ridimensiona il peso del capitalismo.

Quanto all’impresa postula un mercato in cui operino, con pari opportunità, non solo soggetti di iniziative private e pubbliche, ma anche organizzazioni produttive a fini mutualistici e sociali.

A 40 anni dalla “Populorum progressio” Benedetto XVI situa l’ancora improcrastinabile questione dello sviluppo umano integrale nel contesto della civilizzazione dell’economia. Ciò gli consente di trattare con efficacia anche i temi dei diritti e dei doveri, della vita, dell’ambiente, della fame, dello sviluppo dei popoli, dell’umana collaborazione e della tecnica.

La “Caritas in veritate” rappresenta un buon investimento per la speranza di uomini e popoli.