Intervista de ilsussidiario.net al Patriarca sulla l’enciclica di Papa Benedetto XVI “Caritas in veritate”.
Eminenza, qual è la portata della sfida che con la Caritas in veritate il Papa lancia al mondo contemporaneo?
Dopo una prima attenta lettura, non esito a dire che ha una portata veramente storica.
Per la prima volta in termini così espliciti e diretti, quasi tecnici, il magistero pontificio fa una proposta, sottolineo proposta, di innovazione radicale in ambito economico.
In che cosa consiste l’originalità di questa enciclica, nell’ambito della tradizione costituita dalle altre encicliche sociali?
La sua originalità emerge in due punti che, a mio giudizio, rappresentano i cardini del documento.
Il Papa parte dalla “ragione economica” (per due volte nel testo ricorre questa espressione) e mostra come la sua proposta si innesti in domande che sorgono dall’interno dell’economia. La Caritas in veritate non è una sorta di verniciatura che si sovrappone ad un sistema economico già in sé compiuto, ma raccoglie le domande inevase che vengono dall’economia e da suggerimenti per una nuova “civilizzazione dell’economia”. In secondo luogo il contenuto fondamentale di tali suggerimenti è dato dal “principio di gratuità” e dalla “logica del dono tesa alla costruzione di una fraternità”. Solo da qui può venire lo sviluppo integrale dell’uomo. Sono molti gli esempi e le descrizioni proposte dal Santo Padre in chiave direi “tecnica”, di come questo principio di gratuità sia intrinseco all’economia.
In tutto questo io riscontro una radicale novità.
Perché un uomo del nostro tempo impegnato con la realtà (economica ma non solo) dovrebbe accettare di confrontarsi con quanto scritto e suggerito dal Papa?
Perché, se è un osservatore appassionato ed attento di tutta la realtà, non può non avere nel cuore – soprattutto in quest’epoca – una serie di domande irrisolte. Domande assai concrete, relative alla vita personale e sociale, a problemi materiali e spirituali che trovano in questa enciclica delle piste nuove e convincenti per essere affrontate. Basta sfogliare l’indice per rendersene conto.
Il Papa è molto chiaro e netto nella Caritas in veritate sulla natura del cristianesimo. Questo è anche un giudizio sulla Chiesa e sul cristianesimo nel mondo contemporaneo?
Sì, questo è un insegnamento che deve far riflettere tutti noi cristiani. Non mi piace il generico riferimento alla Chiesa, perché essa è un soggetto di comunione che, in ultima analisi, riposa nella persona di ciascuno di noi.
Tocca al magistero della Chiesa, soprattutto al magistero di Pietro – perché Gesù questo ha ordinato -, proporre un insegnamento. La Caritas in veritate implica sicuramente da parte di tutti noi cristiani una precisa autocritica circa il nostro modo di stare dentro la realtà contemporanea.
Cosa chiede il Papa ai cristiani impegnati nella società?
Il Papa chiede il coraggio umile di mostrare le ragioni adeguate per incontrare la bellezza dell’avvenimento di Gesù Cristo dall’interno della propria vita quotidiana fatta di affetti, di lavoro e di riposo. Occuparsi di economia, di impresa, di diritti e di doveri, di vita, di tecnica, di fraternità, significa prendersi cura di tutto l’umano.
Ai cristiani è chiesto di assumere questo insegnamento papale domandando con umiltà al Signore l’energia di rinnovare la propria esperienza e la propria testimonianza.
«L’annuncio di Cristo è il primo fattore di sviluppo». Cosa vuol dire?
Vuol dire che al cuore dello sviluppo non ci possono essere delle strutture, che sono solo delle condizioni per lo sviluppo, ma ci deve essere l’uomo.
Come ha insegnato la Gaudium et Spes, in Cristo l’uomo può scoprire il suo vero volto. Cristo vive oggi attraverso i cristiani, Dio ha bisogno degli uomini. Quindi annunciare Cristo attraverso la propria vita, dentro tutti gli ambiti della propria esistenza, è la prima condizione dello sviluppo.
a cura di Federico Ferraù