CACCIARI SU SCOLA – Viene pubblicata qui di seguito un’intervista a Massimo Cacciari, filosofo, sul nuovo libro del card. Angelo Scola, “Buone ragioni per la vita in comune. Religione, politica, economia” (Mondadori 2010, pag. 120, euro 17,50) e pubblicata su Gente Veneta il 18 settembre:
L’anima e lo spirito? Sono compagni di viaggio molto graditi dalla società d’oggi che, se vuole funzionare, ha bisogno di essi.
Lo stare insieme, oggi, ha un forte bisogno di spiritualità, ma il rischio è che politica, scienza ed economia cerchino la compagnia della religione non perché credano in un Dio davvero fondante la realtà. Dio e la religione sono invocati per rendere più efficaci i processi messi in moto dalle stesse politica, scienza ed economia. Nella società globale, insomma, il pericolo è che la spiritualità sia solo un utile strumento. Anche per poter stare assieme. Lo rileva Massimo Cacciari, commentando il nuovo libro del Patriarca Scola.
Prof. Cacciari, una preoccupazione sostanziale che il card. Scola manifesta in questo volume è che nella società plurale, dove l’io dei singoli e dei gruppi è sempre più enfatizzato, si perda di vista il valore basilare dell’essere in relazione, dello stare insieme, della polis. D’accordo?
Questo è un processo secolare. I classici della sociologia parlavano della trasformazione dalla Gemeinschaft alla Gesellschaft, dalla comunità alla società. E’ lo spirito delle nostre grandi metropoli, in cui l’elemento comunitario è sopraffatto da un essere insieme del tutto individualistico. Da qui il tema della solitudine delle masse. E’ una nota questione di cui si può dire che nelle società attuali sta giungendo al suo compimento. E quindi, nel suo compiersi, può dar vita ad aperture imprevedibili, a opportunità positive o a catastrofi.
Un’altra preoccupazione riguarda il fatto che la crescita impetuosa del sapere tecno-scientifico e quindi della sua capacità di trasformazione del mondo – il suo essere non solo idee, ma anche opere – sia alla radice della tentazione che l’uomo ha di progettare se stesso, di essere esperimento di se stesso. Quanto è pericolosa questa accelerazione?
Anche in questo caso siamo al termine di un lungo processo. La concezione della natura che l’età moderna ha elaborato è dominata dall’istanza forte della soggettività e dell’io, che si esprime come volontà di potenza. Da ciò deriva la tecnica che giunge fino alla possibilità di decidere del nostro essere naturale… Certo, il Patriarca ha ragione, questa è una prospettiva che deve preoccuparci, di cui dobbiamo avere la massima cura, in tutti i sensi. E tuttavia questa idea – che il ritmo stesso dell’evoluzione venga affidato all’iniziativa dell’uomo, che diventi un prodotto della tecnica – questa prospettiva è aperta da secoli. E’ il compimento pratico di idee che dominano tutta la modernità. Ma bisogna averne cura. Ciò che condivido del libro del card. Scola è questa preoccupazione. Che a questo problemi, però, si possa corrispondere veramente con appelli di ordine etico-religioso ne dubito. Nel senso che o nasce una coscienza da parte del sapere tecno-scientifico circa le conseguenze che comportano i processi da esso mossi, oppure dall’esterno nessun appello potrà trovare risposta. Sono convinto che un confronto su alcuni elementi di autentica spiritualità possa avere conseguenze positive sugli atteggiamenti pratici, politici, tecnici e scientifici. Ma non per questo si fermerà il movimento più sotterraneo e profondo del processo.
Cosa intende rispetto alle situazioni concrete?
Prendiamo il problema della pace. Siamo in un momento in cui è vitale pensare di risolvere alcuni conflitti che possono configurarsi come distruttori di civiltà. E’ del tutto evidente che bisogna perseguire politiche di pace, pratiche di pace volte alla pacificazione, dell’armistizio. Ma o queste pratiche sono animate, spiritualiter, da un effettivo desiderio di pace oppure rimangono impotenti. Questa dimensione di spiritualità è qualcosa che si può incarnare in pratiche effettuali anche politiche. Un altro esempio: si prenda la giustizia. C’è una dimensione del diritto che è diritto positivo, è saper amministrare, è legge. Ma è del tutto evidente che ogni diritto positivo, se non è animato da un’idea di giustizia, diventa peggio che occasionale: diventa inefficace. O infine prendiamo la natura. Noi siamo i soggetti che storicamente si contrappongono, come sovrani, alla natura; ma o entriamo in un rapporto anche simpatetico con la natura o finiremo per suicidarci. Quindi anche un appello di forte spiritualità oggi può incarnarsi, come fattore animante, in pratiche politiche, amministrative e tecniche. Gli esempi si potrebbero moltiplicare: siamo ad un punto del processo di secolarizzazione in cui si comincia a sentire una seria di debolezze e di fragilità.
Ma le debolezze e le fragilità non sono forse connaturate allo stesso progredire del processo tecno-scientifico?: meno paletti ci sono, meno punti fermi di ordine religioso o etico si sono e più la realtà è modificabile secondo la volontà di potenza tecno-scientifica…
Apparentemente è così: più sei “libero”, più puoi fare. Ma in realtà anche dal punto di vista del processo tecnico-scientifico ci si rende conto che oggi occorrono condizioni organizzative, politiche e culturali che trascendono le dimensioni della stessa operatività tecnico-scientifica. Siamo ad un punto dei processi di secolarizzazione che, se essi stessi non vengono animati da una forte carica spirituale o etica, minacciano di implodere. Perché i processi tecnico-scientifici, privi di ogni spiritualità intrinseca, oggi fanno fatica a funzionare anche dal punto di vista profano.
Ragione per cui…
Ragione per cui la storia dello Stato agnostico e neutrale, indifferente rispetto al conflitto dei valori, oggi non regge più. Questo Stato freddo di giorno in giorno è meno rappresentativo e appare meno legittimo, più debole, meno capace di governare anche dal punto di vista tecnico-amministratico. In questa chiave richiami come quelli del Patriarca sono del tutto pertinenti e puntuali.
(Giorgio Malavasi)