Viene qui proposta un’intervista al Patriarca pubblicata in data 29 aprile da IlSussidiario.net:

Domenica Benedetto XVI proclamerà beato papa Giovanni Paolo II, nel giorno che egli stesso volle intitolare alla Divina Misericordia e che si annuncia come una grande festa della fede.
«Per me Wojtyla è stato il papa della libertà ed è il santo della libertà» dice di Giovanni Paolo II il Patriarca di Venezia, Angelo Scola. «Una libertà però che ha continuamente bisogno di essere liberata». E solo la fede in Cristo può farlo. Una fede, spiega Scola in questa intervista a ilsussidiario.net, «divenuta lungo tutto l’arco della sua esistenza il fattore primario di conoscenza»: «di sé, degli altri e di Dio».

(per leggere la prima parte dell’intervista cliccare qui)

E quanto ai movimenti?

La questione movimenti-istituzione avrebbe bisogno di tanto spazio per trovare risposta adeguata. Una cosa però si può dire: che la coessenzialità nella Chiesa è anzitutto tra i doni istituzionali e i doni carismatici. I primi (Eucaristia illuminata dalla Parola di Dio, insegnamento degli apostoli, comunione) sono quelli che Gesù ha posto come insopprimibile fondamento del non venir meno della Chiesa; i secondi esprimono la fantasia con la quale lo Spirito “persuade”  l’uomo di ogni tempo ad aderire alla Chiesa come ambito per una pienezza di vita umana. Ovviamente entrambi sono doni di grazia. Ogni contrapposizione tra doni istituzionali e doni carismatici è priva di fondamento.

 

GPII è stato un grande devoto di Maria. Che cosa insegna questa devozione alla Chiesa del nostro tempo?

È fonte di benefica umiltà per ogni cristiano. Maria infatti è l’espressione più potente della Chiesa Immacolata e insegna a tutti i fedeli, uomini e donne, che Cristo Sposo è l’ineffabile dono per la Chiesa Sposa. Di fronte a Lui tutti siamo per così dire anzitutto “passivi”, cioè nella posizione di chi innanzitutto riceve.

Inoltre Maria, paradigma di ogni maternità, è colei che in qualunque circostanza, anche la più sfavorevole, ci accompagna a Gesù. È vergine e madre. Per questo amo definire Maria come “la donna”.

 

L’ultima parte del pontificato di GPII è stata segnata da un rapporto con la verità (e con la guida della Chiesa) sofferto, interiormente combattuto, soprattutto a causa della malattia. Il gigante che ha segnato così profondamente la storia mondiale non ha avuto paura di mostrarsi in tutti i suoi limiti. Che cosa insegna da questo punto di vista il beato Wojtyla, come uomo e come successore di Pietro?

Nella fase finale della sua vita Giovanni Paolo II ha incarnato la grande affermazione paolina: “Quando sono debole, è allora che sono forte”. “Basta la tua grazia”: così si esprime Paolo nella Seconda Lettera ai Corinti. Il modo con cui Giovanni Paolo II ha portato la sua sofferenza, ha esaltato il ministero petrino perché ha mostrato che il potere di governo nella Chiesa – ma non solo nella Chiesa – non è mai alla mercè di chi lo possiede. Viene sempre e solo da Dio.

Bisogna pregare ogni giorno perché chiunque ha responsabilità di governo nella Chiesa, possa viverla in questo modo.

 

In che cosa GPII è un santo contemporaneo? A quale profonda domanda dell’uomo di oggi risponde la sua santità di vita?

La sua santità traspare secondo me in maniera luminosa dal suo appassionato impegno per la libertà. Per me Wojtyla è stato il papa della libertà ed è il santo della libertà. Una libertà però che ha continuamente bisogno di essere liberata. Come dice il Vangelo di Giovanni, chi segue Gesù “sarà libero davvero”.

(a cura di Federico Ferraù)