Una riflessione del cardinale Angelo Scola in un articolo pubblicato il 27 settembre su “Il Sole 24 Ore.
«Quando si parla di amore, matrimonio e famiglia, tra i “fondamentali” dell’esperienza comune più “terremotati” dal profondo movimento di trasformazione che scuote questo travagliato inizio del terzo millennio, si tende a ignorare un dato decisivo. Eppure è una cosa che ogni uomo e ogni donna, qualunque sia la loro visione della vita, riconosce con semplicità: vogliamo essere amati autenticamente e per sempre per poter amare a nostra volta. Questa esigenza non può essere scardinata dal cuore dell’uomo neppure dal radicale cambiamento di costume in atto.
La cosa è sotto gli occhi di tutti: i giovani rimandano sempre di più il matrimonio e, una volta sposati, rinviano il diventare genitori, e la causa non è solo la crisi economica. Quando poi decidono di diventarlo, in ritardo sull’orologio biologico, ricorrono sempre più spesso alle tecniche di procreazione assistita non prive di problematicità. E ancora: le cosiddette “unioni di fatto”, di qualunque tipo, rivendicano un riconoscimento sociale e giuridico, ma anche morale. Non c’è più un’immagine univoca di matrimonio, né di famiglia, e si assiste a un paradosso: da una parte, il matrimonio sembra perdere sempre più consensi a favore delle convivenze tra l’uomo e la donna, dall’altra è sempre più fragorosamente rivendicato dalle coppie dello stesso sesso.
L’elenco dei dati di fatto potrebbe continuare a lungo. Anche se, per essere obiettivi, si deve riconoscere che sono ancora numerose solide esperienze di vita matrimoniale e familiare, fedeli ed aperte alla vita.
Se il fascino del “per sempre” rimane inestirpabile, questa meta è presentata e avvertita come una fortuna che tocca a pochi, e il divorzio è messo in preventivo. Fino al punto che non di rado si cade nello scetticismo come l’unica posizione “realista” di fronte al desiderio di amare ed essere amati. Uno scetticismo che, pur non riuscendo a tacere il “magari fosse così”, inevitabilmente conclude col dire: “è impossibile”.
Tutto ciò accade.
E la Chiesa se ne occupa. Non può non farlo: siamo seguaci di un Dio incarnato che, per amore, si è immischiato nella nostra vicenda umana fino a dare la vita per ciascuno di noi.
Questa passione per l’uomo, che appartiene al DNA della Chiesa, ha spinto il Papa ad indire ben due Assemblee sinodali sulla famiglia: una straordinaria, che si aprirà il prossimo 5 ottobre, e una ordinaria nel 2015.
Il capillare lavoro preparatorio (sono state raccolte opinioni, riflessioni, testimonianze nelle Diocesi di tutto il mondo) ha fatto emergere uno scarto marcato tra ciò che la Chiesa insegna e ciò che i fedeli praticano. Ma il problema non è solo, né a ben vedere soprattutto, di coerenza morale. Se così fosse non ci sarebbe nulla di nuovo.
Non si tratta di tracciare i confini tra il permesso e il vietato, ma piuttosto di rimettere al centro le ragioni dell’insegnamento della Chiesa, che si fonda sul disegno originario di Dio, e di chiedersi qual è la sua convenienza umana. Non basta (anzi spesso è controproducente) che i genitori e gli educatori mettano di fronte ai figli un elenco di divieti perché i figli si convincano della bontà delle loro indicazioni e le seguano. Occorre dare le ragioni e documentarne la convenienza.
La Chiesa non è una madre arcigna che, di fronte alle domande dei propri figli, innalza una barriera di no. La sua proposta, anche in materia di amore, matrimonio e famiglia, racchiude in sé il grande sì di Dio all’umanità. Sì al bene della differenza sessuale che apre all’altro. Sì ad un amore che, per essere in anima e corpo e per sempre, diventa fecondo nel dono della vita accompagnata in un paziente lavoro di educazione. Per indicare sinteticamente questi beni irrinunciabili io sono solito prendere in prestito dalla sapienza biblica l’espressione “bell’amore”.
Proporlo agli uomini e alle donne di oggi significa offrire loro una grande chance di realizzazione di sé («nel cammino comune del matrimonio l’uomo ha il compito di aiutare la moglie ad essere più donna e la donna di aiutare il marito ad essere più uomo», ha detto recentemente Papa Francesco), oltre che del bene dell’intera società.
Un bene arduo, certo. Un bene anzitutto da testimoniare confrontandosi cordialmente con il mutato contesto culturale senza preclusioni, ma anche senza reticenze né timidezze».