Pubblichiamo il contributo inviato dal Cardinale Angelo Scola alla conferenza scientifica internazionale “Veritatis Splendor”, tenutasi a Cracovia il 18 ottobre 2018, di cui verranno ora pubblicati gli atti ufficiali.

A questo link è possibile scaricare il testo in formato PDF.


Metropolia di Cracovia
Università Pontificia Giovanni Paolo II a Cracovia
Istituto di Dialogo interculturale Giovanni Paolo II a Cracovia

Conferenza Scientifica Internazionale
“Veritatis Splendor”

Giovanni Paolo II che ha cambiato il volto del mondo
40 anni dall’elezione del card. Karol Wojtyla, metropolita di Cracovia, alla cattedra di San Pietro

Cracovia, 17 ottobre 2018

“Se desideri la pace, va’ incontro ai poveri”
(San Giovanni Paolo II, Allocuzione per la Giornata della Pace 1993)
Continuità dell’insegnamento
di San Giovanni Paolo II e di Papa Francesco sulla Chiesa dei poveri

+ Angelo Card. Scola
Arcivescovo Emerito di Milano

 

  1. La Chiesa povera per i poveri nella testimonianza dei due papi

Lo Spirito del Risorto accompagna la Chiesa, nel suo pellegrinaggio lungo la storia, e in essa assicura il ministero petrino come garanzia di unità nella professione della fede e nello svolgimento della missione fino a quando Cristo sarà tutto in tutti nel regno del Padre. Sta qui la fonte perenne della continuità che scorre nella vita del santo Popolo fedele di Dio. Tale continuità emerge anche nei nessi oggettivi e soggettivi tra le modalità storiche di esercizio del primato dei diversi pontefici.

C’è una continuità tra la testimonianza di papa Francesco e quella di san Giovanni Paolo II in merito alla Chiesa dei poveri? Per rispondere a questo interrogativo sarà necessario, pur nel breve tempo a disposizione, tentare uno sguardo d’insieme all’azione pastorale e al magistero che caratterizzano la testimonianza di entrambi i pontefici.

Anzitutto, come non ricordare l’immagine di Giovanni Paolo II preso per mano da santa Madre Teresa, il 3 febbraio 1986, al Nirmal Hriday Ashram, la casa per i moribondi in Calcutta? O quella del santo papa in piedi, silenzioso, davanti al mare, nel punto da cui partirono milioni di schiavi, nell’Isola della Gorée, in Senegal, il 22 febbraio 1992? O infine quella più volte ripetuta dell’abbraccio alla donna liberata dalla prostituzione grazie all’opera di don Oreste Benzi? Sono tutti gesti che abbiamo ritrovato con freschezza e nuovo slancio in questi anni del pontificato di papa Francesco. Diventa superfluo ricordarne qualcuno, tanto ci sono divenuti familiari. Sono gesti – lo si vede bene sia in Giovanni Paolo II che in Francesco – che esprimono con naturalezza la figura (gestalt) di entrambi: per nulla forzati, per nulla artificiosi. Gesti che costituiscono una solida base dell’insegnamento e che esprimono la novità del Vangelo in modo visibile, accessibile a tutti gli uomini di buona volontà. Infatti il linguaggio della carità è alla portata di chiunque, tutti lo capiscono.

Fin dai primi giorni del suo pontificato, papa Francesco ci ha richiamato con forza ad essere sempre più una Chiesa povera per i poveri. E l’ha fatto con il suo stile di esercizio del ministero di Pietro, espressione di una testimonianza che unifica gesti, esempi di vita, cultura di popolo e insegnamento.

Questo richiamo ha dato voce a milioni di donne e di uomini che vivono in situazione di povertà, quando non di assoluta miseria. In questo senso, la voce delle Chiese dell’America Latina si esprime per la prima volta non solo attraverso il significativo magistero dei Vescovi del CELAM nelle loro assemblee – Medellín (1968), Puebla (1977), Santo Domingo (1992) e Aparecida (2007) –, ma anche attraverso la voce del Successore di Pietro.

Il richiamo del Papa, inoltre, ha trovato ampia eco anche tra gli uomini di buona volontà, che intuiscono la responsabilità di tutti noi, e in primis della Chiesa, nei confronti dei poveri.

 

  1. Opzione per i poveri, una categoria teologica

Dove affonda le sue radici questa attenzione privilegiata per i poveri? Rispondendo a questa domanda ci avviciniamo al nucleo più profondo della continuità riscontrabile nella testimonianza dei due papi. Possiamo identificarla con questo passaggio dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium: «Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica» (EG 198). Come mai? Per rispondere basta leggere in sinossi il penultimo paragrafo del n. 5 del Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace del 1993 Se cerchi la pace, va incontro ai poveri di Giovanni Paolo II, e il n. 197 dell’esortazione Evangelii gaudium di papa Francesco. Nei due testi, e addirittura con sorprendenti richiami linguistici, troviamo una descrizione di Gesù povero. «Nacque nella povertà; da bambino fu costretto ad andare in esilio con la sua famiglia per sfuggire alla ferocia di Erode; visse come uno che “non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Fu denigrato quale “mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11,19) e subì la morte riservata ai criminali. Chiamò beati i poveri ed assicurò che è per loro il Regno di Dio (cfr. Lc 6,20)», dice Giovanni Paolo II. E papa Francesco ribadisce: «Nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri, tanto che Egli stesso “si fece povero” (2 Cor 8,9). Tutto il cammino della nostra redenzione è segnato dai poveri. Questa salvezza è giunta a noi attraverso il “” di una umile ragazza di un piccolo paese sperduto nella periferia di un grande impero. Il Salvatore è nato in un presepe, tra gli animali, come accadeva per i figli dei più poveri; è stato presentato al Tempio con due colombi, l’offerta di coloro che non potevano permettersi di pagare un agnello (cfr Lc 2,24; Lv 5,7); è cresciuto in una casa di semplici lavoratori e ha lavorato con le sue mani per guadagnarsi il pane. Quando iniziò ad annunciare il Regno, lo seguivano folle di diseredati, e così manifestò quello che Egli stesso aveva detto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; perché mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio” (Lc 4,18). A quelli che erano gravati dal dolore, oppressi dalla povertà, assicurò che Dio li portava al centro del suo cuore: “Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio” (Lc 6,20); e con essi si identificò: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare”, insegnando che la misericordia verso di loro è la chiave del cielo (cfr Mt 25,35s)».

La Chiesa povera per i poveri, quindi, non è altro che il riflesso di Cristo, luce delle genti, sul volto del santo Popolo fedele di Dio. Sia Giovanni Paolo II sia papa Francesco insegnano che «per i discepoli di Cristo la povertà è anzitutto vocazione a seguire Gesù povero. È un cammino dietro di Lui e con Lui, un cammino che conduce alla beatitudine del Regno dei cieli (cfr Mt 5,3; Lc 6,20)» (Messaggio per la Prima Giornata Mondiale dei Poveri n. 4). Siamo, quindi, di fronte ad una lettura cristocentrica della povertà evangelica. L’annuncio di Cristo, redentore dell’uomo, centro del cosmo e della storia, è riproposto da papa Francesco contemplando la modalità in cui lo stesso Redentore ha voluto compiere la sua opera di salvezza: povero tra i poveri per arricchirci con la sua povertà (cfr 2Co 8,9). Si comprende, allora, l’insistenza del papa sull’amore ai poveri come la via che ci porta al cuore stesso del Vangelo: non è una pura conseguenza morale dell’annuncio evangelico, ma espressione paradigmatica della misericordia del Padre. Se non si rende visibile questa radice teologica, la povertà si riduce a pura filantropia.

In questo modo, la continuità nell’insegnamento dei due papi sulla Chiesa dei poveri si vede anzitutto nella loro personale sequela di Cristo povero. Nel già citato Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace di 1993, Giovanni Paolo II afferma: «Tale povertà evangelica si pone come fonte di pace, perché grazie ad essa la persona può instaurare un giusto rapporto con Dio, con gli altri e con il creato. La vita di chi si pone in quest’ottica diventa, così, testimonianza dell’assoluta dipendenza dell’umanità da Dio che ama tutte le creature» (n. 5).

 

  1. Testimoni di libertà

La sequela personale di Cristo povero risplende nella modalità – offerta a tutti – con cui questi testimoni vivono il loro cammino: una modalità che possiamo descrivere parlando della loro “assoluta dipendenza da Dio”.

L’esperienza del dipendere totalmente da Dio, e solo da Lui, è all’origine di un altro tratto caratteristico che i due pontefici hanno in comune. Mi riferisco alla loro libertà. Credenti e non credenti, ammiratori e critici, devoti e detrattori, tutti non possono non riconoscere che con Giovanni Paolo II e con papa Francesco ci troviamo di fronte a due uomini profondamente liberi: liberi da se stessi, dall’opinione altrui e anche dai poteri di questo mondo.

Questo nesso tra la povertà e la libertà, tra una Chiesa povera e una Chiesa libera, è, a mio giudizio, particolarmente significativo. Infatti, la povertà si offre alla Chiesa come la strada più sicura per poter essere se stessa e portare a termine la missione che ha ricevuto dal Salvatore. Un’autentica esperienza di povertà garantisce ai discepoli del Risorto di ripetere le stesse parole di Pietro agli inizi della missione apostolica: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!» (Act 3,6).

La radice cristocentrica dell’insistenza dei due papi sulla Chiesa povera per i poveri, assunta anzitutto come stile di vita, come espressione della propria sequela personale di Cristo povero, costituiscono il fondamento di una visione profondamente realistica del fenomeno della povertà anche dal punto di vista sociale, economico e politico.

 

  1. Un approccio ben radicato nella realtà

Nell’insegnamento di Giovanni Paolo e di papa Francesco troviamo infatti un approccio ai poveri ben radicato nella realtà, che non evita di “sporcarsi le mani” con un affondo diretto sui fenomeni sociali, economici e politici che producono la povertà, anzi il dilagare della miseria. In questo senso nel Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace del 1993, Giovanni Paolo II – che significativamente cita il lavoro della Conferenza del CELAM di Santo Domingo nel 1992 – non esita a far riferimento ad alcuni precisi fenomeni: il debito estero, la droga, le migrazioni, la violenza etnica e la guerra, ma anche lo smodato consumo di beni terreni e il moltiplicarsi di bisogni indotti che caratterizza le opulente società del nord occidentale del pianeta. In larghe parti del mondo l’esito di tutto ciò sono quelle povertà e miseria che, come dice il santo papa, «costituiscono un grave affronto alla dignità umana e contribuiscono all’instabilità sociale» (n. 1). Questo stesso richiamo alla dignità umana torna con insistenza nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (cfr. EG 52, 65, 75, 104, 180, 190, 192, 203, 207…). Così come lo stesso papa Francesco, rivolgendosi ai cristiani, ribadisce continuamente la necessità di reagire «alla cultura dello scarto e dello spreco, facendo propria la cultura dell’incontro» (Messaggio per la Prima Giornata Mondiale dei Poveri, n. 6).

 

  1. Inscindibile unità tra kerygma e dignità dell’uomo

Nell’insegnamento sulla povertà di Giovanni Paolo II come in quello di papa Francesco troviamo inscindibilmente legati l’annuncio di Cristo, come essenza del Vangelo, il nucleo del kerygma, e la strenua difesa della dignità dell’uomo. In questo senso possiamo dire che entrambi esprimono con splendida chiarezza quella che è stata denominata l’indole pastorale del Concilio Vaticano II. Mi riferisco alla convinzione, caratteristica del magistero conciliare e di tutti i pontefici del postconcilio – da Paolo VI a Francesco – che il Vangelo ha come destinatario l’uomo concreto e non può mai prescindere da questa sua destinazione. O, per dirlo in un altro modo, dalla tensione a mostrare la propria rilevanza antropologica. La verità evangelica, infatti, è propter nos homines et propter nostram salutem.

La modalità con cui Giovanni Paolo II e papa Francesco ci richiamano a vivere una Chiesa povera per i poveri, a partire dal mistero di Cristo e in favore degli uomini è l’espressione del loro profondo radicamento nell’insegnamento di Gaudium et spes 22: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. (…) Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo».